W. Shakespeare, Sonetti, trad. di Alessandro Serpieri 1 Dalle più belle creature desideriamo procreazione, cosicché la rosa della bellezza non possa mai morire, ma, quando maturando col tempo dovrà poi finire, la tenera sua erede possa recarne la memoria; ma tu, congiunto ai tuoi occhi luminosi, la fiamma della tua luce nutri con la tua sostanza stessa, facendo carestìa là dove regna l’abbondanza, tu stesso il tuo nemico, col tuo dolce io troppo crudele. Tu che ora sei del mondo il fresco ornamento e l’unico araldo della sfarzosa primavera, nel tuo stesso boccio sotterri ciò che in te si contiene, e, tenero spilorcio, fai spreco in avarizia. Abbi pietà del mondo, o sarai un tale ingordo da mangiar quant’è dovuto al mondo, prima che nella tomba, in te. 2 Quando quaranta inverni assedieranno la tua fronte e nel campo della tua bellezza scaveranno trincee profonde, la superba livrea della tua giovinezza tanto ammirata ora, sarà un cencioso panno tenuto in poco conto. Ti si chiedesse allora dove sia la tua bellezza, dove tutto il tesoro dei tuoi ardenti giorni, dire nei tuoi stessi occhi infossati sarebbe vergogna divorante e sprecato elogio. Quanto maggior elogio meriterebbe l’uso della tua bellezza, se tu potessi rispondere, “Questo mio bel figlio salderà il mio conto e scuserà la mia vecchiaia”, provando la sua bellezza, per successione, tua! Sarebbe esser rifatto nuovo quando sarai vecchio e veder caldo il tuo sangue quando lo sentirai freddo. 3 Guarda nel tuo specchio è dì al volto che vi vedi che ora è il tempo per quel volto di formarne un altro; se ora tu non ne rinnovi il fresco aspetto, inganni il mondo, e una madre privi di benedizione. Perché dov’è la donna così pura il cui insolcato grembo disdegni l’opera del tuo dissodamento? O qual è l’uomo così fatuo da voler essere la tomba dell’amor di se stesso, arrestando la sua posterità? Tu sei lo specchio di tua madre, e lei in te rimemora il leggiadro aprile del suo rigoglio; e così dalle finestre della tua vecchiaia tu vedrai, a dispetto delle rughe, questo tempo tuo dorato. Ma se tu vivi per non essere ricordato, muori solo, e la tua Immagine muore con te. 4 Leggiadria sperperatrice , perché spendi su te stessa l’eredità della tua bellezza? Il legato della Natura nulla dona, ma solo presta, e, generosa, presta a chi ha munificenza. Perché allora, bell’avaro, fai cattivo uso del ricco dono che fu dato a te per dare? Usuraio senza profitto, perché vai usando così gran somma di somme, eppure non ne vivi? Trafficando solo con te stesso, di te stesso defraudi il dolce te stesso. Quando la Natura ti chiamerà a partire, quale accettabile bilancio potrai lasciare? Non usata, la tua bellezza sarà con te sepolta, che usata, invece, vivrà come tua testamentaria esecutrice. 5 Quelle ore che con lavoro gentile modellarono l’amabile sembiante su cui ogni occhio indugia proprio contro quello si faranno tiranne, togliendo bellezza a chi nella bellezza eccelle; poiché il mai fermo Tempo spinge l’estate innanzi nell’orrido inverno e ve l’affonda, linfa arrestata dal gelo e forti foglie perdute, bellezza sommersa da neve, e nudità dovunque. Se non restasse allora l’essenza dell’estate, liquida prigioniera chiusa in muri di vetro, l’effetto della bellezza si perderebbe insieme alla bellezza, sparita quella, e insieme il suo ricordo. Ma i fiori distillati, anche se incontrano l’inverno, non perdon che l’apparenza; la sostanza ne vive ancora dolce. 6 Non lasciare dunque alla lacera mano dell’inverno deturpare in te la tua estate, prima d’esserti distillato: profuma un’ampolla, intesora un qualche posto col tesoro della bellezza prima che da sé si uccida. Non è proibita usura quell’uso che felice rende chi volentieri il prestito ne paga; e ciò per te sarebbe creare un altro te, o dieci volte più felice se fosse del dieci a uno: dieci volte saresti più felice di quanto sei, se dieci dei tuoi dieci volte ti rifigurassero; che cosa potrebbe la morte, allora, se ti dipartissi lasciando te vivente nella posterità? Non essere egoista, poiché sei troppo bello per rimanere perda della morte e far tuoi eredi i vermi. 7 Guarda, a oriente quando il grazioso lume leva il capo infuocato, ogni occhio terreno rende omaggio alla sua vista nuovamente apparsa, servendo con gli sguardi la sacra sua maestà; e quando ha scalato il colle ripido del cielo, simile alla forte giovinezza nel colmo dell’età, sguardi mortali ne adoran la bellezza tuttavia, scortando il dorato suo pellegrinaggio. Ma, quando dal più alto punto col suo stanco carro come debole vecchiaia barcolla giù dal giorno, gli occhi, prima riverenti, sono ora distolti dal suo basso tragitto e guardano per altra via. Così tu, lasciandoti indietro al tuo meriggio, morirai inosservato, se non ti acquisti un figlio. 8 Tu, musica all’ascolto, perché così triste la musica ascolti? Dolcezze non fan guerra a dolcezze, gioia di gioia si delizia. Perché ami ciò che non lieto accogli, o forse accogli con piacere ciò che ti tedia? Se la piena armonia di ben accordati suoni, in unione congiunti, offende il tuo orecchio, è perché dolcemente ti rampogna, che confondi in un a solo le parti che dovresti distinguere. Guarda come una corda, dell’altra dolce sposa, vibra con quella in mutua rispondenza, come fanno padre e figlio e felice madre, che in un tutt’uno cantano una stessa dolce nota: il loro tacito canto, di molti che sembrano uno, questo ti canta: «Tu, solo, risulterai nessuno». 9 È per paura di bagnare l’occhio di una vedova che consumi te stesso in una vita solitaria? Ah, se senza prole ti accadrà di morire, il mondo ti compiangerà come moglie senza sposo; il mondo sarà tua vedova e piangerà per sempre che nessuna forma di te ti sei lasciato dietro, mentre ogni comune vedova può ben serbare in mente, negli occhi dei suoi figli, la figura del marito. Tutto quel che il prodigo spende nel mondo non cambia che di posto, poiché il mondo tuttavia lo gode; ma lo spreco della bellezza ha nel mondo fine, e, tenendola inusata, chi la usa così la distrugge. Nessun amore per gli altri regna in quel petto che commette su di sé tale infamia assassina. 10 Per la vergogna, nega di amar chicchessia, tu che con te stesso sei così sconsiderato! Ammettiamo, se vuoi, che sei da molti amato, ma che non ami nessuno è del tutto evidente; poiché sei così posseduto da odio assassino che non esiti a cospirare contro te stesso tentando di rovinare quel bell’edificio che dovrebbe esser tuo primo desiderio restaurare. Oh, cambia idea, perché io possa cambiar opinione! Avrà l’odio miglior dimora del tenero amore? Sii com’è la tua presenza, grazioso e gentile, o con te stesso almeno mostrati di cuor gentile: crea un altro te stesso, per amor mio, cosicché la bellezza viva sempre, nei tuoi o in te. 11 Rapido come andrai declinando tu ricrescerai, in uno dei tuoi, da ciò che rilasci, e quel fresco sangue che giovane investi potrai chiamarlo tuo, quando via da gioventù ti sarai volto: in questo, sta saggezza, bellezza e accrescimento; fuori di questo, follia, vecchiaia e fredda decadenza. Se tutti la pensassero così, cesserebbero i tempi e tre volte vent’anni disfarebbero il mondo. Quelli che la Natura non creò per fare razza, rozzi, informi e sgraziati, periscano sterili; ma chi essa meglio dotò, a quello più diede, e tale generoso dono tu dovresti generosamente coltivare. Essa ti intagliò come suo sigillo, e così intese che ne improntassi altri, non che lasciassi morire il modello. 12 Quando conto l’orologio che racconta il tempo, e vedo il giorno superbo sprofondato nell’odiosa notte; quando osservo la viola non più in fiore, e riccioli neri tutti di bianco inargentati; quando alberi sublimi vedo nudi di foglie che già al gregge schermarono la calura, e il verde dell’estate, tutto stretto in covoni, portato sul carro con bianca ed ispida barba; allora sulla tua bellezza mi vado interrogando, che tra i resti del tempo te ne dovrai andare, poiché dolcezze e bellezze smarriscono se stesse e muoiono veloci come altre ne vedono crescere veloci; e niente contro la falce del Tempo può offrire difesa, se non la prole che lo sfidi, quando ti toglierà di qui. 13 O se tu fossi tuo! ma, amore, tu sei tuo soltanto finché quaggiù tu stesso vivi; contro tale incombente fine dovresti prepararti e il tuo dolce sembiante dare a qualcun altro. Così quella bellezza che tieni in affitto non troverebbe scadenza; e allora tu saresti ancora te stesso, dopo la morte di te stesso, quando la tua dolce prole recasse la tua dolce forma. Chi lascerebbe decadere una così bella casa che la cura potrebbe conservare nel suo onore contro le tempestose raffiche del giorno invernale e l’inaridente furia del freddo eterno della morte? Oh solo chi scialacqua, lo sai, mio caro amore; tu avresti un padre, lascia che tuo figlio dica lo stesso. 14 Non dalle stelle io colgo il mio giudizio, eppure credo di saper di astrologia; ma non per predire buona o mala sorte, pestilenze, carestie, o tipo di stagione; né ai brevi minuti so raccontare la fortuna, indicando per ciascuno tuono, pioggia e vento, né ai prìncipi so dire se le cose andranno bene per frequenti predizioni che nel cielo trovo. Ma è dai tuoi occhi che traggo conoscenza, e in loro, stelle fisse, leggo questo segreto, che verità e bellezza prospereranno insieme, se ti volgerai da te stesso a fare razza; altrimenti questo io pronostico di te: la tua fine è di Verità e Bellezza condanna a termine. 15 Quando considero che ogni cosa che cresce si regge in perfezione solo un breve momento, che questo immenso palcoscenico non presenta che [apparenze su cui in segreto influsso commentano le stelle; quando percepisco che come le piante gli uomini crescono, incoraggiati e contrastanti dal medesimo cielo, si gloriano in giovane linfa, in vetta decrescono e consumano il loro superbo stato al di là della memoria; allora il pensiero di questo incostante stare ti pone ricchissimo di giovinezza davanti alla mia vista, dove il Tempo devastatore dibatte con Rovina per mutare il tuo giorno di giovinezza in lurida notte; e in piena guerra col Tempo, per amor tuo, di quanto egli ti toglie io ti innesto nuovo. 16 Ma perché in un più potente modo non fai guerra a questo sanguinario tiranno Tempo, e non ti fortifichi contro il tuo decadimento con mezzi più benedetti delle mie sterili rime? Ora tu stai sulla vetta delle ore felici, e molti vergini giardini ancora incolti con virtuoso desiderio ti genererebbero fiori viventi, molto più simili a te del tuo ritratto dipinto. Cosi linee di vita rinnoverebbero quella vita che né il pennello di quest’epoca né la mia penna inesperta possono farti vivere quale sei, nell’intimo valore Nella bellezza esterna, agli occhi degli uomini. Conceder te stesso conserva te stesso ancora, e devi vivere ritratto dalla tua stessa dolce arte. 17 Chi crederà nei miei versi nel tempo futuro se fossero riempiti dei tuoi meriti più alti? Eppure, lo sa il cielo, non sono che una tomba che nasconde la tua vita e non mostra la metà dei tuoi pregi. Se io sapessi scrivere la bellezza dei tuoi occhi e in nuovi metri misurare tutte le tue grazie, l’età a venire direbbe: << Questo poeta mente, tali tocchi celesti non toccarono mai volti terreni>>. Così le mie carte, ingiallite dall’età, sarebbero derise, come vecchi ciarlieri più che veritieri, e i pregi che ti spettano sarebbero definiti furor poetico e forzato metro di un canto antiquato. Ma se qualche tuo figlio vivesse in quel tempo, tu vivresti due volte, in lui e nelle mie rime. 18 Dovrò paragonarti a un giorno d’estate? Tu sei più amabile e più temperato: rudi venti scuotono i diletti boccioli del maggio e l’affitto dell’estate ha durata troppo breve; talvolta troppo caldo l’occhio del cielo splende e spesso l’oro del suo volto è offuscato; e ogni bellezza dalla bellezza prima o poi declina, spogliata dal caso o dal mutevole corso di natura. Ma la tua eterna estate non dovrà svanire né perdere possesso di quella bellezza che t’appartiene, né la morte si vanterà che tu vaghi nella sua ombra, quando in versi eterni incontro al tempo tu crescerai. Finché uomini respireranno o occhi vedranno, fin tanto vivrà questa poesia, e darà vita a te. 19 Tempo divoratore, spunta le zampe del leone e fa’ divorare alla terra la sua dolce progenie; strappa i denti aguzzi dalle mascelle della feroce tigre e brucia la Fenice longeva nel suo sangue; crea liete e tristi stagioni mentre fuggi, e fa’ tutto ciò che vuoi, Tempo dal piede veloce, al vasto mondo e a tutte le sue effimere dolcezze. Ma io ti proibisco il crimine più orrendo: oh, non incidere con le tue ore la bella fronte del mio amore e non tracciarvi linee con la tua penna antica; lui nel tuo assalto conservalo intoccato, come modello di bellezza per gli uomini a venire. Ma fa’ del tuo peggio, vecchio Tempo: malgrado il tuo torto il mio amore vivrà nei miei versi giovane sempre. 20 Volto di donna, dalla mano stessa di Natura dipinto, hai tu, Signore-Signora della mia passione; cuore gentile di donna, ma non avvezzo alla volubile incostanza che delle false donne è l’uso; occhio più splendente del loro, meno falso nel volgersi, che indora l’oggetto su cui si fissa; uomo nella forma che tutte le forme ha in suo dominio, e gli occhi degli uomini rapisce e l’anima stupisce delle donne. E come donna tu fosti dapprima creato, finché, nel plasmarti, la Natura si perse d’amore, e, con un’aggiunta, me privò di te, aggiungendo una cosa che al mio scopo è nulla. Ma poiché ti eresse per il piacere delle donne, mio sia il tuo amore e loro tesoro il suo uso. 21 Non può dirsi di me come di quella Musa Spinta ai suoi versi da una bellezza dipinta, che il cielo stesso per ornamento usa e ogni cosa bella ripete per la sua bella, accoppiandola in superbi paragoni con sole e luna, con ricche gemme di mare e terra, con i primi fiori d’Aprile e ogni cosa rara che l’aer del cielo in quest’immenso tondo chiude. Oh, che sincero in amore, io sinceramente scriva, e allora, credimi, il mio amore è bello quanto ogni figlio di donna, pur se non splendente come quelle dorate candele infisse nell’aere celeste. Dican di più quelli cui piacere il sentito dire; io non decanterò ciò che non intendo vendere. 22 Non mi persuaderà il mio specchio ch’io sia vecchio finché tu e giovinezza avrete la stessa età; ma quando scorgerò in te i solchi del tempo, allora spero che la morte ai miei giorni dia pace. Poiché tutta quella bellezza che ti ricopre Non è che la degna veste del mio cuore, che vive nel tuo petto, come il tuo in me: come possa allora esser più vecchio di te? Oh, perciò, amore, di te stesso abbi cura, quanta ne avrò io, non per me, ma per te, portando in me il tuo cuore, che custodirò come dal male tenera balia il suo bambino. Non far conto sul tuo cuore quando il mio sarà ucciso: tu non mi desti il tuo perché te lo ridessi. 23 Come un imperfetto attore sulla scena che per paura si discosta dalla parte, o come un essere feroce colmo d’eccessiva furia, cui l’eccesso di vigore indebolisce il cuore; così io, per paura e per sfiducia, dimentico di dire la perfetta cerimonia del rituale dell’amore, e nella forza stessa del mio amore mi sento sfinire, sopraffatto dal fardello dello stesso suo potere. Oh, siano i miei fogli, allora, l’eloquenza e gli àuguri muti del mio parlante petto, che chiedono amore e attendono una ricompensa maggiore che per quella lingua che più e di più ha espresso. Oh, impara a leggere ciò che il silenzioso amore ha scritto; udir con gli occhi s’addice al fine ingegno dell’amore. 24 Il mio occhio ha fatto la parte del pittore e tracciato la forma della tua bellezza sulla tavoletta del mio cuore. Il mio corpo è la cornice in cui è tenuta, e, fatta in prospettiva, è la miglior arte del pittore, poiché con l’occhio del pittore devi vederne la maestrìa per scoprire dove stia la tua fedele immagine dipinta che è sempre appesa nella bottega del mio petto, le cui finestre sono invetriate dai tuoi occhi. Ora vedi che bei servigi gli occhi han reso agli occhi: i miei hanno ritratto la tua figura, e i tuoi per me sono finestre sul mio petto, attraverso cui il sole si diletta a sbirciare, per ammirar là dentro te. Ma agli occhi manca la scaltrezza che ne aggrazi l’arte: ritraggono solo ciò che vedono, non conoscono il cuore. 25 Quelli che hanno il favore delle loro stelle si vantino di pubblici onori e titoli superbi, mentre io, cui la fortuna nega tali trionfi, godo in disparte di ciò che più onoro. I favoriti dei grandi principi schiudono i loro bei petali, ma solo come la calendola all'occhio del sole e, lasciati a se stessi, il loro vanto resta sepolto, poiché, a un cipiglio, muoiono nella loro gloria. L'affannato guerriero, famoso per potenza, dopo mille vittorie sconfitto una volta sola, è del tutto cancellato dal libro dell'onore, e dimenticato è tutto il resto per cui aveva penato. Felice allora io, che amo e sono amato lì di dove non mi rimuoverò, né sarò rimosso. 26 Signore del mio amore, cui in vassallaggio il tuo valore ha saldato la mia devozione, a te invio questo messaggio scritto ad attestare omaggio, non a esibire ingegno; omaggio così grande, che un misero ingegno come il mio può far sembrare spoglio, mancando di parole per mostrarlo; senonché io spero che qualche tua ingegnosa idea, pensata in fondo all'anima, nudo qual è, gli dia alloggio, in modo che qualsiasi stella il mio moto guidi si volga a me propizia con benigno aspetto e metta una bella veste al mio stracciato amore per mostrarmi degno del tuo dolce riguardo. Allora potrò osar di vantarmi di quanto t'amo; prima, non verrò allo scoperto dove tu possa mettermi alla prova. 27 Sfinito di fatica, mi affretto al mio letto, il caro riposo alle membra stanche dal viaggio; ma allora un altro viaggio mi inizia nella testa a lavorarmi la mente, quand'è finito il lavoro del corpo. Poiché allora i miei pensieri dal mio lontano alloggio in devoto pellegrinaggio verso di te si volgono, e tengono spalancate le mie palpebre pesanti a guardare la tenebra che vedono i ciechi. Senonché dell'anima mia l'immaginaria vista presenta al mio sguardo cieco la tua ombra che, come gioiello appeso alla notte spettrale, fa la nera notte bella e il suo vecchio volto nuovo. Così, di giorno le mie membra, di notte la mia mente, per causa tua, e mia, non trovano quiete. 28 Come posso allora ritornare a un felice stato se il beneficio del riposo mi è sbarrato, quando l'oppressione del giorno la notte non l'allevia, ma giorno da notte è oppresso e notte da giorno, e l'uno e l'altra, pur nemici di regno, in pieno accordo si danno mano a torturarmi, l'uno con fatica, l'altra lamentando quanto lontano io m'affanni, sempre da te più lontano? Per compiacerlo, dico al giorno che tu risplendi e gli dai grazia quando le nuvole macchiano il cielo; e così lusingo la notte dalla scura pelle, che, quando brillanti non spuntano le stelle, tu indori la sera. Ma ogni giorno il giorno prolunga il mio dolore, e ogni notte la notte fa sembrar più forte la lunga pena. 29 Quando in disgrazia con la Fortuna e gli occhi degli uomini, io tutto solo mi lamento del mio reietto stato, e disturbo il cielo sordo con i miei vani gridi, e guardo a me stesso e maledico il mio destino, desiderandomi uno più ricco di speranza, d'aspetto come lui, come lui provvisto di amici, di questo desiderando l'arte, di quello i vasti orizzonti, di ciò di cui più godo meno contento, eppure in questi pensieri me stesso quasi disprezzando; per avventura io penso a te, e allora il mio stato, come l'allodola al rompere del giorno in volo dalla cupa terra canta inni ai cancelli del cielo; poiché il tuo dolce amore ricordato tale ricchezza reca che allora disdegno di scambiare il mio stato con i re. 30 Quando alle assise del dolce silenzioso pensiero convoco la memoria delle passate cose, io sospiro alla mancanza di molte cose che cercai e con vecchie pene daccapo lamento lo spreco del caro mio tempo. Allora gli occhi annego, non usi a lacrimare, per preziosi amici nascosti nella notte sterminata della morte e nuovamente piango pene d'amore da tempo cancellate e mi dolgo dello spreco di molte svanite visioni. Allora mi affliggo di passate afflizioni e desolato di dolore in dolore ridico il triste conto di già lamentati lamenti, che pago daccapo, come se già non li avessi pagati. Ma se, in quel mentre, io penso a te, caro amico, ogni perdita mi è resa, e finiscono gli affanni. 31 Il tuo petto è impreziosito da tutti i cuori che, mancandomi, avevo supposto morti, e lì regna amore, e dell'amore tutte le amorose parti, e tutti quegli amici che pensai sepolti. Quante mai lacrime sante e luttuose ha rubato ai miei occhi il caro religioso amore come tributo a quei morti che ora appaiono solo trasferite cose che in te si trovano nascoste. Tu sei la tomba dove il sepolto amore vive, adorna dei trofei dei miei perduti amici, che a te donarono tutte le quote che avevano di me, cosicchè quanto apparteneva a molti ora è tuo soltanto. Le loro immagini che amai io le vedo in te, e tu, tutti loro, hai tutto il tutto di me. 32 Se sopravvivrai al ben accetto giorno del conto mio finale, quando quella spilorcia Morte coprirà le mie ossa di polvere e ancora una volta per avventura ripercorrerai questi poveri rozzi versi del tuo defunto amico, confrontali con quel tempo ormai migliore, e, se anche da ogni penna saranno superati, conservali per amor mio, non per le loro rime, sovrastate dall'eccellenza di uomini più fortunati. Oh, concedimi allora questo solo amoroso pensiero: "Fosse cresciuta col crescer dell'età la Musa del mio amico, parto più degno di questo il suo amore avrebbe generato, da stare al passo di ranghi meglio equipaggiati; ma poiché egli è morto, e migliori si mostrano i poeti, i loro versi leggerò per lo stile, i suoi per il suo amore." 33 Più di un glorioso mattino ho visto lusingare le vette dei monti con occhio sovrano, baciare con aureo viso i verdi prati, indorare pallidi fiumi con alchimia divina; poi presto permettere alle nuvole più vili di cavalcare con orridi nembi sul suo celeste volto e nascondere al mondo derelitto il suo sembiante, fuggendo furtivo a occidente senza più grazia. Così rifulse il mio sole un primo mattino con pieno trionfale splendore sulla mia fronte; ma ahimè, non fu che un'ora sola mio: nuvola più alta me lo ha ora nascosto. Ma lui, per questo, il mio amore non disdegna: i soli del mondo possono macchiarsi, se il sole del cielo si macchia. 34 Perchè mi promettesti una così bella giornata, facendomi viaggiare senza il mio mantello per poi lasciare nuvole vili cogliermi in cammino, nascondendo la tua magnificenza nel loro marcio fumo? Non mi basta che tu irrompa tra le nuvole ad asciugarmi la pioggia sulla faccia battuta dalla tempesta, poichè nessuno può lodare un balsamo che sana la ferita e non guarisce la disgrazia. Nè può la tua vergogna medicare la mia pena: anche se ti penti, a me la perdita resta. Il dolore di chi offende offre scarso sollievo a chi della dura offesa porta la croce. Ah, ma sono perle quelle lacrime che versa il tuo amore, e sono ricche, e riscattano ogni cattiva azione. 35 Più non ti affliggere per ciò che hai fatto: le rose hanno spine e le argentee fonti fango, nuvole ed eclissi macchiano e luna e sole, e il disgustoso bruco vive nel bocciolo più dolce. Tutti hanno colpe, e anch'io in questo, giustificando con paragoni la tua trasgressione, corrompendo me stesso nel medicare il tuo malanno, scusando i tuoi peccati oltre misura; poichè alla tua colpa sensuale io porto senso, -e la tua parte avversa diventa il tuo avvocato-, e contro me stesso intento causa legale. Tale guerra civile è nel mio amore e odio che complice devo per forza diventare di quel dolce ladro che amaramente mi deruba. 36 Ti confesserò che noi due dobbiamo restar distinti, anche se i nostri indivisi amori sono tutt'uno. Così quelle macchie, che pesano su di me, senza il tuo aiuto, le porterò da solo. Nei nostri due amori c'è un'unica devozione, ma nelle nostre vite uno scacco ci separa, che, pur non alterando l'unico effetto dell'amore, dolci ore ruba tuttavia alla delizia dell'amore. Io non potrò mai riconoscerti apertamente, affinchè la mia deplorata colpa non ti rechi vergogna; nè tu potrai onorarmi con pubblico favore, se non togliendo onore al tuo nome. Ma non farlo: io ti amo in tal modo che, essendo tu mio, mia è la tua buona reputazione. 37 Come un decrepito padre prende diletto vedendo il suo svelto figlio compiere giovani atti, così io, storpiato dalla Fortuna con durissimo dispetto, traggo ogni mio conforto dal tuo valore e onore; perché, siano bellezza, nascita, o ricchezza o intelligenza, o una di tutte queste, o tutte, o altre titolate a loro modo, a regnare incoronate in te, io innesto il mio amore in questo ceppo. Non sono storpio allora, povero, o spregiato, quando quest'ombra offre tale sostanza che nella tua abbondanza io mi soddisfo e di una parte di tutta la tua gloria vivo. Il meglio che ci sia, quel meglio lo desidero in te; questo desiderio l'ho io, dieci volte allora felice me. 38 Come può mancare alla mia Musa un soggetto da inventare finché respiri tu, che nella mia poesia versi il tuo stesso dolce argomento, troppo eccellente perché qualsiasi foglio volgare lo ripeta? Oh, di' grazie a te stesso se qualcosa di mio degno d'attenzione incontra la tua vista; perché chi è così muto da non sapere scriverti, quando tu stesso dai luce all'invenzione? Sii tu la decima Musa, dice volte più degna di quelle vecchie nove che invocano i rimatori; e chi si richiama a te possa creare metri eterni, che vivano oltre la più distante data. Se la mia esile Musa piacerà a quei giorni raffinati, mia sia la fatica, ma tua sarà la lode. 39 Oh, come posso con discrezione cantare il tuo valore, quando tu sei di me la miglior parte? Cosa può dare a me stesso la mia stessa lode, e non è forse mia la lode quando lodo te? Proprio per questo dobbiamo vivere divisi e il nostro caro amore perda il nome di singola entità, cosicché, per tale separazione, io possa dare ciò che è dovuto a te, e che meriti solo tu. Oh, assenza, quale tormento ti riveleresti se il tuo amaro svago non mi desse dolce licenza d'intrattenere il tempo con pensieri d'amore, così dolcemente ingannando il tempo e i pensieri, e se tu non m'insegnassi come far di uno due, lodando lui qui, che di qui resta lontano. 40 Prendi tutti i miei amori, amor mio, sì, prendili tutti, e cosa avrai di più di quanto avevi prima? Nessun amore, amor mio, che tu possa chiamare amore vero: tutto il mio era tuo prima che tu avessi questo in più. Se per amor mio, dunque, tu ricevi il mio amore, non posso biasimarti perché fai uso del mio amore; ma sii biasimato se inganni te stesso, assaggiando con ostinata voglia ciò che rifiuti. Ti perdono il tuo furto, ladro gentile, anche se tu mi rubi tutto il mio povero avere: eppure amore sa com'è più grande pena sopportare il torto dell'amore che non dell'odio l'atteso insulto. Grazia lasciva, in cui ogni male fa buona mostra, uccidimi di spregi, ma noi non dobbiamo essere nemici. 41 Quei capricciosi torti che la libertà commette, quando talvolta sono assente dal tuo cuore, alla bellezza e agli anni tuoi ben si confanno poiché la tentazione sempre ti segue dovunque tu sia. Gentile tu sei, e perciò da conquistare; bello tu sei, e perciò da assalire; e quando donna corteggia, quale figlio di donna vorrà lasciarla da sgarbato prima di aver prevalso? Ahimè, ma potresti astenerti dal prendere il mio posto, e sgridare la tua bellezza e la tua sbandata giovinezza che ti conducono in baldoria proprio lì dove sei costretto a rompere una doppia fedeltà: quella di lei, tentandola a te con la tua bellezza; la tua, tradendo me per via della tua bellezza. 42 Che tu abbia lei non è tutta la mia pena, eppure si può dire che la amavo caramente; che lei abbia te è il mio maggior tormento, una perdita d'amore che mi tocca più da vicino. Innamorati traditori, così voglio scusarvi: tu ami lei perché sai che la amo io, e allo stesso modo per amor mio lei mi inganna, sopportando per amor mio che il mio amico la metta a prova. Se io perdo te, la mia perdita è il guadagno della mia amata, e, se perdo lei, l'amico mio quella perdita si trova; entrambi l'un l'altra vi trovate, e io vi perdo tutti e due, ed entrambi, per amor mio, mi imponete questa croce. Ma ecco la gioia: il mio amico e io siamo tutt'uno. Dolce illusione! Allora lei non ama, oltre me, nessuno. 43 Quando più chiudo gli occhi, allora meglio vedono, poiché per tutto il giorno guardano cose indegne di nota; ma, quando dormo, nei sogni si volgono a te, e oscuramente luminosi sono luce diretta nell’oscuro. Allora tu, la cui ombra illumina le ombre, quale spettacolo felice formerebbe la forma della tua ombra al chiaro giorno con la tua assai più chiara luce, quando a occhi senza vista la tua ombra così splende! Quanto, dico, benedetti sarebbero i miei occhi, guardando a te nel vivo giorno, quando nella morta notte la tua bella ombra imperfetta, attraverso il greve sonno, su ciechi occhi posa! Tutti i giorni sono notti a vedersi finché vedo te, e le notti giorni luminosi, quando i sogni ti mostrano a me. 44 Se l’ottusa sostanza della mia carne fosse pensiero, la malevola distanza fermerebbe il mio cammino; ché allora, a dispetto dello spazio, io verrei portato dai confini più remoti là dove tu ti trovi. Non importerebbe allora se il mio piede posasse sulla più lontana terra da te distante; poiché l’agile pensiero balza oltre terra e mare non appena pensi dove vorrebbe stare. Ma, ah, mi uccide il pensiero di non essere pensiero da saltar lunghe distese di miglia quando tu sei via, mentre, tanto di terra e di acqua composto, devo star dietro al comodo del tempo col mio lamento, non ricevendo nulla da elementi così lenti se non lacrime pesanti, emblemi del mio e tuo dolore. 45 Gli altri due, l’aria leggera e il purificante fuoco, sono entrambi con te, dovunque io mi trovi: la prima il mio pensiero, l’altro il mio desiderio, presenti-assenti scivolano via con veloce moto. Perciò quando questi più rapidi elementi se ne vanno a te in dolce ambascerìa d’amore, la mia vita, che di quattro è fatta, con due soltanto sprofonda nella morte, oppressa dalla malinconia; finché la mistura della vita non sia risanata da quei veloci messaggeri che mi ritornano da te, e che proprio ora sono venuti, rassicurati della tua buona salute, a darmene notizia. Udito questo, io gioisco; ma poi, non più contento li rimando nuovamente indietro, e subito sono triste. 46 Il mio occhio e il mio cuore sono in guerra mortale su come spartirsi le spoglie della tua vista: l’occhio vorrebbe sbarrare al cuore la vista del tuo ritratto, il cuore all’occhio il libero accesso a quel diritto; il mio cuore argomenta che tu risiedi in lui, scrigno mai penetrato da occhi cristallini; ma il convenuto rifiuta tale argomento e dice che in lui dimora il tuo bell’aspetto. Per decidere su tale diritto viene insediata una giurìa di pensieri, vassalli tutti del cuore, e col loro verdetto risulta determinata la porzione del chiaro occhio e la parte del caro cuore, in questo modo: al mio occhio spetta la tua parte esteriore, ed è diritto del mio cuore l’intimo amore del tuo. 47 Tra il mio occhio e il mio cuore vien fatto un accordo e ognuno rende ora all’altro buoni servigi: quando il mio occhio è affamato di uno sguardo o il cuore innamorato soffoca nei sospiri, allora il mio occhio si pasce del ritratto del mio amore e al dipinto banchetto invita il cuore; un’altra volta, l’occhio è ospite del mio cuore e dei suoi pensieri d’amore condivide una parte. Così, o per il tuo ritratto o per il mio amore, benché lontano, tu sei sempre presente a me; poiché muoverti non puoi più in là dei miei pensieri, e io sto sempre con loro, e loro con te; o se dormono, il tuo ritratto alla mia vista sveglia il mio cuore a deliziare cuore e occhio. 48 Quanta cura mi presi, nel mettermi in cammino, di riporre ogni gingillo dietro le più fidate sbarre, cosicché, per il mio uso, restasse non usato da mani disoneste, in celle ben sicure! Ma tu, al cui confronto i miei gioielli son gingilli, mio conforto più prezioso, ora mia più grande pena, tu, migliore di ogni più cara cosa, e mio unico affanno, sei rimasto preda di ogni volgare ladro. Te non ho serrato in uno scrigno, se non là dove non sei, anche se sento che ci sei, dentro al recinto gentile del mio petto, dove a tuo piacere puoi venire e andare; e di lì appunto tu verrai rubato, io temo, poiché la virtù si fa ladra per una preda così cara. 49 Contro quel tempo - se mai verrà quel tempo - quando ti vedrò accigliato per i miei difetti, quando il tuo amore avrà gettato l'ultima sua somma, chiamato a tale bilancio da motivi ponderati; contro quel tempo, quando estraneo mi passerai accanto salutandomi a stento con il sole del tuo occhio, quando l'amore, mutato da qual era, troverà ragioni di profondà gravita; contro quel tempo io fortifico me stesso dentro la coscienza dei miei propri meriti, e questa mia mano contro me stesso levo a difendere le legittime ragioni della tua parte. Per lasciare questo povero me tu hai la forza delle leggi visto che io non posso addurre motivo perché tu mi ami. 50 Come mi pesa viaggiare per la mia strada se ciò che cerco, la mèta del mio faticoso viaggio, fa solo dire a quel sollievo e a quel riposo: "Tante miglia hai misurato lontano dal tuo amico". La bestia che mi porta, stanca della mia pena, arranca pigramente portando questo mio peso, come se per istinto la miseria sapesse che il cavaliere non ama fretta nell'andar via da te. Non riesce a stimolarla il sanguinoso sprone che talvolta la rabbia le affonda nella pelle, e a cui risponde con un lamento di dolore, per me più acuto che non lo sprone a lei nel fianco; poiché quel lamento questo mi mette in mente, che la mia pena è là davanti, la gioia alle mie spalle. 51 Così può scusare il mio amore la colpevole lentezza del mio pigro portatore, quando corro lontano da te; da dove tu sei perché dovrei affrettarmi via? Finché io non ritorni, non c'è bisogno di galoppo. Oh, quale scusa troverà allora la povera mia bestia, quando la velocità più estrema non sembrerà che lenta? Allora darei di sprone pur se montassi il vento, e in rapidità alata non scorgerò movimento. Allora nessun cavallo starà al passo del mio desiderio; e quindi il desiderio, fatto del più perfetto amore, nitrirà, non tarda carne, nella sua infuocata corsa; ma l'amore, per amore, scuserà così il mio ronzino: poché, andando via da te, andò testardamente lento, verso di te io correrò, e lui lascerò andare come può. 52 Così sono io come il ricco, che la benedetta chiave può portare al suo dolce tesoro rinserrato, che non ogni ora egli vorrà ispezionare per non smussare la punta delicata di un piacere infrequente. Perciò sono le feste così solenni e così rare, perché, di rado ricorrendo nel lungo giro dell'anno, come pietre preziose sono disposte sparsamente, o come i gioielli principali in un monile. Così il tempo che ti contiene è per me come il mio scrigno o come il guardaroba che la sontuosa veste cela per rendere uno speciale istante specialmente benedetto rivelando di nuovo il suo splendore imprigionato. Benedetto sei tu, il cui valore lascia campo, se ti si ha, di trionfare, o, se tu manchi, di sperare. 53 Qual è la tua sostanza, di che cosa sei fatto, che milioni di strane ombre ti fanno scorta? Poiché ognuno ha, in quanto uno, un'ombra, e tu, sebbene uno, puoi prestarti a qualsiasi ombra. Mi si descriva Adone, e il suo ritratto è, di te, una povera imitazione; sulla guancia di Elena ogni artificio di bellezza si apponga, e tu in greca acconciatura sei ridipinto. Si parli della primavera, e del raccolto dell'anno, e l'una solo l'ombra della tua bellezza mostra, l'altro appare come tua munificenza; e te in ogni felice forma noi riconosciamo. In ogni grazia esteriore tu hai qualche parte, ma tu come nessuno, nessuno come te, per costanza del cuore. 54 Oh, quanto più bella la bellezza sembra per quel dolce ornamento che la virtù le dona! La rosa appare bella, ma più bella la stimiamo per quel dolce odore che in lei vive. Le rose canine hanno lo stesso intenso colore delle rose dalla tinta che profuma, pendono su uguali spine e, come quelle, si dilettano lascive quando il fiato dell'estate chiude i loro bocci mascherati; ma, poiché la loro virtù sta solo nella mostra, vivono non corteggiate, e trascurate appassiscono, e muoiono a se stesse. Non così è per le dolci rose; dalla loro dolce morte son tratti dolcissimi profumi: e così è per te, bello e amabile ragazzo, quando svanirà la tua virtù, dal verso sarà ancora distillata. 55 Né il marmo né i dorati monumenti dei principi sopravvivranno a queste possenti rime, ma, qui contenuto, tu splenderai più luminoso che pietra non spazzata, insozzata dal lurido tempo. Quando la guerra devastatrice rovescerà le statue e i tumulti sradicheranno le muraglie, né la spada di Marte ne' il convulso fuoco della guerra bruceranno la vivente testimonianza della tua memoria. Contro la morte e ogni nemica dimenticanza tu incederai, e la tua lode troverà sempre spazio agli occhi di tutte le età future, che consumeranno questo mondo fino all'estrema sorte. Così fino al Giudizio, quando tu stesso risorgerai, tu vivi in queste rime, e dimori negli occhi degli amanti. 56 Dolce amore, rinnova la tua forza; non sia detto che il tuo filo sia più smussato dell'appetito che, per oggi, il nutrimento ha calmato, ma che s'acuirà domani col medesimo vigore. Così sii tu, amore; anche se oggi ti riempi gli occhi affamati finché non si chiudano sazi, domani guarda di nuovo, e non uccidere lo spirito d'amore con perpetua ottusità. Fa' che questo triste intervallo sia come l'oceano che separa le coste, dove due appena promessi si affaccino ogni giorno, perchè, vedendo un ritorno d'amore, più felice sia la loro vista; oppure chiamalo inverno, che, pieno di affanni, fa l'estate benvenuta, assai più desiderata, più rara. 57 Essendo tu schiavo, che altro posso fare se non servire le ore e i tempi del tuo desiderio? Non ho tempo prezioso da spendere di mio, né servigi da rendere, finché tu non li richieda. Né oso rimproverar quell'ora, secoli dei secoli, quando, mio sovrano, guardo l'orologio in tua attesa, né pensare l'amarezza dell'aspra assenza, una volta che al tuo servo hai detto addio. Né oso domandarmi con gelosi pensieri dove tu sia, né far supposizioni sui tuoi affari, ma come un triste schiavo me ne sto e a nulla penso se non a dove tu sei, a quanto quegli altri fai felici. Tale autentico buffone è l'amore, che delle tue voglie, qualunque cosa tu faccia, non pensa alcun male. 58 Quel dio non voglia, che per primo mi fece tuo schiavo, che io controlli col pensiero i tempi del tuo piacere o dalla tua mano implori il resoconto delle ore, essendo tuo vassallo, al tuo comodo legato. Oh, lasciami soffrire, poiché sono al tuo comando, l'assenza della tua libertà che m'imprigiona, e, mite come la pazienza, fa' che io sopporti ogni colpo, senza accusarti di alcun torto. Sta' dove ti piace, la carta dei tuoi diritti è così forte che puoi conceder privilegi al tuo tempo come più ti aggrada; e a te solo spetta di perdonar te stesso per le colpe contro te stesso. Io devo solo aspettare, pur se quest'attesa è un inferno, non biasimare il tuo piacere, sia esso male o bene. 59 Se di nuovo non c'è nulla, ma ciò che è è già stato prima, come si inganna la nostra mente, che, nel travaglio dell'invenzione, abortisce il secondo fardello di un bambino già nato! Oh, se potesse il ricordo, con uno sguardo all'indietro, esattamente di cinquecento circoli del sole, mostrarmi la tua immagine in qualche libro antico, di quando dapprima fu messa in caratteri la mente, cosicché potessi vedere che cosa il vecchio mondo seppe dire di fronte a questa armoniosa meraviglia della tua figura, e se noi abbiamo progredito, o se migliori erano loro, o se il ricorrere dei tempi sia la stessa cosa. Oh, io sono certo che gli ingegni degli antichi giorni a soggetti peggiori tributarono ammirante lode. 60 Come si spingono le onde verso la spiaggia ciottolosa così si affrettano i nostri minuti alla loro fine, ciascuno cambiando posto con quello che lo precede, e in affannosa sequela tutti si accalcano in avanti. La nascita, non appena nel mare della luce, striscia verso la maturità, e quando ne è coronata, contorte eclissi combattono contro la sua gloria, e il Tempo che diede distrugge ora il suo dono. Il Tempo che diede distrugge ora il suo dono. e scava parallele sulla fronte della bellezza, si nutre delle perfette rarità della natura, e niente sta in piedi se non per la sua falce che lo miete. E tuttavia contro i tempi a venire starà la mia poesia, lodando il tuo valore, a dispetto della sua mano crudele. 61. è tuo volere che la tua immagine tenga aperte le mie palpebre pesanti sull'affaticata notte? Sei tu che desideri che i miei sonni siano rotti, mentre ombre simili a te m'ingannano la vista? è il tuo spirito che mandi via da te così lontano dalla sua dimora per spiare nei miei atti e scoprire in me vergogne e ore vane, bersaglio e fondamento della tua gelosia? oh no, il tuo amore, sebbene tanto, non è così grande; è il mio amore che tiene svegli i miei occhi, il mio sincero amore che sconfigge il mio riposo, facendo il guardiano notturno in tuo favore. Per te io veglio, mentre tu fai veglia altrove, da me molto lontano, ad altri fin troppo vicino. 62. Peccato d'amor proprio possiede il mio occhio e tutta quanta l'anima e ogni altra mia parte; e per questo peccato non esiste rimedio, radicato com'è dentro al mio cuore. Nessun volto mi sembra aggraziato come il mio, nessuna forma così vera, nessuna verità di uguale pregio, e da me stesso definisco il mio valore poichè tutti gli altri in ogni valore io sovrasto. Ma quando il mio specchio mi mostra come sono davvero, sbattuto e raggrinzito dalla malconcia vecchiaia, il mio amor proprio leggo all'incontrario: amare se stessi in tale stato sarebbe iniquo. Sei tu, che al posto mio io lodo, dipingendo la mia età con la bellezza dei tuoi giorni. 63. Contro quando il mio amore sarà come io sono ora, dalla mano oltraggiosa del Tempo sgualcito e consunto, quando le ore gli avran prosciugato il sangue e riempito la fronte di linee e di rughe, quando il suo giovane mattino avrà viaggiato fin nella precipitosa notte dell'età, e tutte quelle bellezze di cui egli è ora re staranno svanendo o saranno svanite dalla vista involandosi il tesoro della sua primavera; per quel tempo io mi fortifico adesso contro il crudele coltello dell'età distruttrice, affinchè non possa mai tagliar via dalla memoria la bellezza del mio dolce amore, pur se ne taglierà la vita. La sua bellezza in questi neri versi sarà vista, ed essi vivranno, e lui in loro sempre verde. 64. Quando dalla mano spietata del Tempo ho visto sfigurato il ricco superbo sfarzo di età consumate e sepolte, quando talvolta torri sublimi vedo rase al suolo, e il bronzo eterno schiavo del mortale furore; quando ho visto l'oceano affamato conquistare vantaggio sul regno delle spiagge, e la ferma terra vincere sulla distesa delle acque, accrescendo possesso con perdita e perdita con possesso; quando ho visto un simile avvicendamento di stato, o lo stesso stato sconvolto a decadere, la rovina mi ha insegnato così a rimuginare, che il Tempo verrà e porterà via il mio amore. Questo pensiero è come una morte, che altro non può che piangere di avere ciò che teme di perdere. 65. Poichè non v'è bronzo, pietra, terra, sconfinato mare, che la triste mortalità non ne soggioghi il potere, come potrà contro tale furore opporre difesa la bellezza, la cui azione non ha più forza di quella di un fiore? Oh, come potrà reggere il profumo di miele dell'estate contro il rovinoso assedio dei battenti giorni, quando rocche inespugnabili non sono così salde, nè porte d'acciaio così forti che il tempo non le abbatta? Oh, paurosa meditazione! Dove potrà, ahimè, nascondersi, dal forziere del Tempo lui che del Tempo è il gioiello migliore? quale forte mano tratterà indietro il suo piede veloce, o chi il suo saccheggio di bellezza potrà proibire? Oh, nessuno, a meno che questo miracolo non abbia il potere di far splendere in nero inchiostro per sempre il mio amore. 66. Stanco di tutto questo, la riposante morte io invoco, quando vedo il merito nascere mendicante, e l'indigente nullità tutta agghindata, e la più pura fede miseramente abiurata, e il dorato onore vergognosamente male attribuito, e la virtù verginale brutalmente prostituita, e la giusta perfezione ingiustamente screditata, e la forza invalidata del potere zoppicante, e l'arte imbavagliata dalla autorità, e l'insensatezza, con aria dotta, mettere freno all'estro, e la semplice verità calunniata come semplicioneria, e il bene prigioniero servire il male capitàno. Stanco di tutto questo, vorrei andarmene da tutto, senonchè, morendo, lascerei solo il mio amore. 67 Ah, perché dovrebbe vivere lui nel mondo infetto e, con la sua presenza, dar grazia all'empietà, cosicché il peccato tragga da lui vantaggio e si agghindi della sua compagnia? Perché dovrebbe la falsa pittura imitare la sua guancia e rubare al suo vivo incarnato una morte riproduzione? Perché indirettamente la povera bellezza dovrebbe cercar ombre di rose, quando la sua rosa è vera? Perchè dovrebbe lui vivere ora che la Natura è in bancarotta e mendica sangue che avvampi in vive vene giacché non ha ora altro erario che il suo, e, pur fiera di molti, vive solo dei suoi guadagni? Oh, lei lo tiene in serbo, per mostrar quale ricchezza avesse nei giorni antichi, prima di questi così cattivi. 68 Così è la sua guancia la mappa di giorni consumati, quando la bellezza viveva e moriva come ora i fiori, prima che spuntassero questi bastardi segni d'avvenenza o osassero abitare su un vivente volto; prima che le dorate trecce della morte, spettanza dei sepolcri, fossero recise per vivere una seconda vita su una seconda testa, morto vello di bellezza a far carina un'altra. In lui si possono vedere quelle sacre antiche ore, senza ornamento alcuno, autentiche e vere, non facendo del verde altrui la propria estate, non derubando vecchia bellezza per vestir la propria a nuovo; e lui, come mappa, conserva la Natura, per mostrar alla falsa Arte quel era la bellezza d'una volta. 69 Quelle parti di te che l'occhio del mondo vede non hanno difetto che il pensiero del cuore possa emandare; ogni lingua, voce dell'anima, ti dà ciò che t'è dovuto, esprimendo la nuda verità, come fa l'elogio di un nemico. Così, il tuo aspetto esteriore è da esteriore lode coronato; ma quelle stesse lingue, che così ti danno il tuo, con altri accenti confondono questa lode, vedendo più in là di quanto l'occhio mostra. Scrutando la bellezza della tua mente e per indovinarla la misurano dai tuoi atti; spilorci allora i loro pensieri, pur se gli occhi erano generosi, al tuo bel fiore aggiungono il rancido fetore delle erbacce. Ma perchè il tuo odore non si adegua alla tua apparenza, la spiegazione è questa, che cresci ordinario 70 Che tu sia biasimato non sarà tuo difetto, poiché bersaglio della calunnia fu sempre la bellezza; l'ornamento della bellezza è il sospetto, un corvo che vola nella più dolce aria del cielo. Se tu sei buono, la calunnia non fa che lodarti -hanno più gran valore quelli che il tempo corteggia-, poiché come un bruco il vizio ama i boccioli più dolci, e tu presenti una pura primavera senza macchia. Tu sei sfuggito agli agguati dei giovani giorni, perché non assalito o vincitore a ogni attacco; questo tuo pregio, tuttavia, non può esser tale pregio da incatenare l'invidia, che sempre si sfrena. Se un sospetto di male non smascherasse la tua apparenza, allora tu saresti il solo signore di regni di cuori. 71 Più a lungo non piangermi, quando sarò morto, del tempo che udrai la tetra lugubre campana dar monito al mondo che io sono fuggito da questo vile mondo con i più vili vermi ad abitare. Anzi, se leggerai questi versi, non ricordare la mano che li scrisse, poiché io ti amo tanto che nei tuoi dolci pensieri vorrei esser dimenticato, se pensare a me allora dovessi addolorarti. Oh, se il tuo sguardo, dico, cadrò su questi versi, quando io sarò, forse, mischiato con la terra, non arrivar nemmeno a ripetere il povero mio nome, ma lascia che il tuo amore perisca con la mia stessa vita, affinché il saggio mondo non indaghi nel tuo lamento e non ti schernisca per me dopo che me ne sarò andato. 72 Oh, affinché il mondo non t'imponga di riferire quale merito vivesse in me che tu dovessi amare dopo la mia morte, caro amore, dimenticami del tutto,m poiché nulla di degno in me tu puoi provare; a meno che non voglia inventare virtuose menzogne per concedermi più del mio merito vero e apporre maggiore elogio su di me defunto di quel che l'avara verità sarebbe disposta a darmi. Oh, perché il tuo vero amore non sembri falso in questo, che per amore tu di me parli bene contro il vero, il mio nome sia sepolto dove sarà il mio corpo e non sopravviva per recar vergogna a me o a te; perchè io mi vergogno di ciò che produco, e così dovresti tu, se amassi cose non degne. 73 Quel tempo dell’anno tu puoi in me vedere, quando gialle foglie, o nessuna, o poche, pendono da quei rami tremanti contro il freddo, nudi cori in rovina, dove dolci poc’anzi cantavano gli uccelli. In me tu vedi il crepuscolo di un giorno, quale dopo il tramonto impallidisce a occidente, e ben presto lo porta via la nera notte, secondo volto della morte che tutto sigilla nel riposo. In me tu vedi il baluginare di un fuoco, che sulle ceneri di sua giovinezza giace come sul letto di morte su cui dovrà spirare, consunto da ciò di cui si era nutrito. Questo tu percepisci, che fa il tuo amore più forte, così da amare appieno chi dovrai presto lasciare. 74 Ma datti pace quando quel crudele arresto senza alcuna cauzione mi porterà via; la mia vita ha su questa poesia qualche diritto, che sempre resterà con te a mia memoria. Quando la rileggerai, tu rivedrai quella parte di me che a te fu consacrata: la terra non può ricevere che terra, che le è dovuta, ma il mio spirito è tuo, ed è di me la miglior parte. Perciò non avrai perso allora che la feccia della vita, la preda dei vermi, morto il mio corpo, la vigliacca spoglia di un miserabile coltello, troppo vile per essere da te ricordato. Il solo suo valore è ciò che esso contiene, e ciò che è questa poesia, e questa con te rimane. 75 Così tu sei ai miei pensieri come alla vita il cibo, o come alla terra rovesci di dolci stagioni; e per la tua pace io sostengo tale conflitto quale tra l’avaro e i suoi ricchi averi: ora esultante nel goderne, e poi subito timoroso che l’epoca ladruncola gli rubi il suo tesoro; ora calcolando che il meglio sia lo star solo con te, poi ancora meglio che il mondo veda il mio piacere; talvolta sazio di banchettare sulla tua vista, e poi subito affamato di uno sguardo; possedendo o inseguendo solo il diletto che ho già avuto o che avrò da te. Così languisco e mi sazio, giorno dopo giorno, o divorando tutto o di tutto quanto privo. 76 Perché è il mio verso così spoglio di nuovo sfarzo, così lontano da variazioni o improvvisi mutamenti? Perché, come fa ora il mondo, non volgo l’occhio a metodi appena scoperti e a composti strani? Perché scrivo una sola cosa, sempre la stessa, e mantengo l’invenzione nella veste consueta, cosicché ogni parola quasi dice il mio nome, mostrando la sua nascita e la sua istruzione? Oh, sappi, dolce amore, che sempre di te io scrivo, tu e l’amore siete sempre il mio argomento; così, tutto il mio meglio è vestir vecchie parole a nuovo, spendendo nuovamente quel che già è stato speso; poiché, come il sole è ogni giorno nuovo e vecchio, così è il mio amore, sempre dicendo ciò che è stato detto. 77 Ti mostrerà il tuo specchio svanir le tue bellezze, la tua meridiana consumarsi i preziosi tuoi minuti, i vuoti fogli recheran l’impronta della tua mente, e da questo libro potrai saggiare questo insegnamento: le rughe che lo specchio ti mostrerà veracemente ti ricorderanno tombe aperte come bocche; dal trafugar dell’ombra sulla meridiana potrai capire l’avanzare furtivo del tempo verso l’eterno. Ciò che la tua memoria non può contenere affidalo a questi fogli bianchi, e vedrai i figli nati dal tuo cervello, una volta allevati, fare nuova conoscenza con la tua mente. Questi uffici, spesso compiuti con lo sguardo, ti daranno profitto, e molto arricchiranno il tuo libro. 78 Così spesso ti ho invocato come mia Musa e tanto bel sostegno ho trovato nel mio verso che ogni estranea penna mi ha imitato e sparpaglia al tuo servizio le sue rime. I tuoi occhi, che insegnarono ai muti l’elevato canto e alla greve ignoranza l’alto volo, hanno aggiunto penne all’ala dei sapienti e dato alla grazia una doppia maestà. Ma tu sii più fiero di ciò che io compilo, su cui l’influsso è tuo, e da te nasce: nelle opere d’altri tu migliori solo lo stile e le arti dalle tue dolci grazie vengono aggraziate; ma sei tu tutta la mia arte, e innalzi nell’alto del sapere la rozza mia ignoranza. 79 Finché solo io invocai il tuo aiuto, solo il mio verso ebbe ogni tua grazia gentile, ma ora i miei aggraziati metri sono decaduti e la mia malata Musa cede il posto a un altro. Ammetto, dolce amore, che il tuo amabile argomento merita il travaglio di una più degna penna, ma ciò che di te il tuo poeta inventa, lo ruba a te, e poi te lo ripaga; ti impresta virtù, e tale parola l’ha rubata al tuo contegno; bellezza ti dà, e l’ha trovata nel tuo volto: non può offrirti altra lode se non quella che in te già vive. Non ringraziar lui dunque per quello che dice, perché ciò che ti deve sei tu stesso a pagarlo. 80 Oh, come mi mancano le forze quando di te io scrivo, sapendo che uno spirito migliore usa il tuo nome e, nella lode che ne fa, spende tutto il suo potere per legare a me la lingua nel parlar della tua fama. Ma poiché il tuo valore, quanto l'oceano vasto, l'umile vela regge come la più superba, la mia avventata imbarcazione, alla sua tanto inferiore, sull'ampia tua distesa puntigliosamente appare. Il tuo meno profondo appoggio mi terrà a galla mentre lui veleggia sul tuo insondato abisso; o, se faccio naufragio, io sono un’indegna barca, e lui d'alto scafo e di gran pompa. Allora, se lui avrà fortuna e io sarò rovesciato, il peggio sarà stato questo: il mio amore fu la mia rovina. 81 Sia che io viva per fare il tuo epitaffio o tu sopravviva quando nella terra sarò marcio, di qui la tua memoria la morte non potrà levare, anche se di me ogni parte sarà dimenticata. Il tuo nome avrà di qui vita immortale, anche se, una volta scomparso, morirò al mondo intero; a me la terra può concedere solo una comune fossa, mentre tu negli occhi degli uomini avrai la tua tomba; il tuo monumento sarà il mio verso gentile, che occhi non ancora creati leggeranno, e lingue future il tuo essere reciteranno, quando tutti che respirano nel mondo saranno morti, tu tuttavia vivrai - tale virtù ha la mia penna – dove più il respiro spira, proprio nelle bocche degli uomini. 82 Ammetto che non ti eri sposato alla mia Musa, e quindi senza vergogna puoi gettar lo sguardo sulle devote parole che usano gli scrittori per il loro bel soggetto, da cui ogni libro è benedetto. Tu sei bello nella consapevolezza come nell’aspetto poiché trovi il tuo valore di confine più vasto del mio elogio, e sei perciò costretto a cercar daccapo qualche più fresco stampo di questi sempre più raffinati giorni. E fallo, amore; ma quando quelli avranno escogitato i tocchi più forzati che la retorica può offrire, tu, veramente bello, sarai veramente raffigurato in vere semplici parole dal tuo veritiero amico. E la loro vistosa pittura meglio sarebbe usata per guance cui manca il sangue: su di te è male applicata. 83 Io non mi accorsi mai che ti occorresse il trucco, e perciò sulla tua bellezza trucco non apposi; trovavo, o credevo di trovare, che tu superassi la spoglia offerta che ti è dovuta da un poeta; e perciò sono stato tardo a cantare le tue lodi, affinché tu stesso, con la tua esistenza, potessi mostrare fino a che punto una comune penna sia oggi inadeguata, parlando di valore, a dire il valore che in te fiorisce. Questo silenzio come il mio peccato mi imputasti, ma sarà mia maggiore gloria restare muto, poiché non danneggio la bellezza col mio silenzio, mentre altri vorrebbero dar vita e producono una tomba. Vive più vita in uno dei tuoi begli occhi di quanta entrambi i tuoi poeti possano in tua lode inventare. 84 Chi è, che dice tutto il più, che possa dir di più di questa ricca lode, che tu solo sei tu, nei cui confini è rinchiuso l’esemplare ceppo che dovrebbe indicare dove mai crebbe uno a te uguale? Sparuta penuria abita in quella penna che al suo soggetto non presti alcuna gloria; ma colui che di te scrive, se sa dire che tu sei tu, in tal modo nobilita la sua storia. Che solo copii ciò che in te è scritto, non peggiorando quel che la natura fece così chiaro, e tale duplicato darà fama al suo ingegno rendendo il suo stile dovunque ammirato. Tu alle tue belle doti aggiungi una maledizione, poiché sei avido di lodi, e ciò peggiora le tue lodi. 85 Impedita nella lingua tace per ritegno la mia Musa, mentre trattati di tue lodi, riccamente compilati, serbano la loro scrittura di penna dorata e preziosi fraseggi limati da tutte le muse. Io penso bei pensieri, mentre altri scrivono belle parole, e, da chierico illetterato, sempre « Amen » esclamo a ogni inno che quel capace spirito provvede in polita forma di ben raffinata penna. Sentendoti lodare, io dico: « È così, è vero »; e alla più alta lode aggiungo qualcos'altro, ma solo nel mio pensiero, il cui amore per te (pur se ultime vengono le parole) resta in prima fila. Gli altri, allora, rispetta per il fiato delle parole, ma per i miei pensieri muti, che parlano nei fatti. 86 Fu la gonfia vela superba del suo grande verso, salpata a far saccheggio di te più che prezioso, a seppellire i miei maturi pensieri nel mio cervello, facendo una tomba del ventre in cui crescevano? Fu il suo spirito, da spiriti istruito a scrivere oltre ogni altezza mortale, che mi colpì a morte? No, né lui, né i suoi compari che di notte gli danno aiuto, hanno stordito il mio verso. Né lui né quell'affabile fantasma suo familiare, che nottetempo lo gabba con segrete informazioni, possono vantarsi di avermi vinto al silenzio; non soffrivo di alcuna paura da quella parte. Ma quando il tuo favore riempì il suo verso, allora mi mancò materia, e s'infiacchì il mio. 87 Addio, sei troppo caro perchè io ti possegga, e assai probabilmente conosci la tua stima; la carta dei tuoi pregi ti consente d'affrancarti; i miei titoli su di te sono tutti scaduti. Come ti tengo infatti se non per tua concessione, e per tale ricchezza dov'è il mio merito? Mi manca ragione di questo bel dono, e così il mio diritto di possesso si sperde e a te si rende. Tu desti te stesso, ignorando allora il tuo valore, o me, a cui ti desti, prendendo per un altro; così il tuo gran dono, cresciuto su un malinteso, se ne ritorna a casa, tu meglio giudicando. Così ti ho avuto come un sogno che lusinga: nel sonno un re, ma al risveglio tutt'altra cosa. 88 Quando ti aggraderà di tenermi in poco conto ed esporre il mio merito all'occhio dello scorno, mi batterò al tuo fianco contro me stesso e ti dimostrerò virtuoso, anche se sarai spergiuro. Della mia debolezza meglio a conoscenza, posso deporre a tuo favore una storia di nascoste colpe, di cui mi sono macchiato, cosicché, nel perdere me, tu otterrai gran gloria; e anch'io da ciò ricaverò un guadagno; poiché, volgendo a te tutti i miei pensieri amorosi, le ferite che farò a me stesso, recando a te vantaggio, a me daranno doppio vantaggio. Tale è il mio amore, a te così appartengo, che per il tuo diritto sopporterò in ogni torto. 89 Di' che mi hai lasciato per qualche mia colpa e io aggiungerò commenti a tale torto; parla della mia zoppìa, e subito io claudicherò, contro le tue ragioni non opponendo difesa alcuna. Tu non potrai, amore, screditarmi peggio, per dare bella forma al tuo desiderato cambiamento, di quanto mi screditerò io stesso, sapendo quel che vuoi; strangolerò l'amicizia e mi mostrerò estraneo, mi assenterò dai tuoi passeggi, e sulla mia lingua il tuo dolce amato nome non avrà più dimora, affinché io, troppo profano, non gli faccia torto e non racconti per caso della nostra vecchia amicizia. Per te, contro me stesso dichiarerò guerra, perché mai dovrò amare chi tu hai in odio. 90 Odiami, allora, quando vorrai, e, se mai vorrai, ora, ora che il mondo è intento ad avversare ogni mio atto, allèati al dispetto della Fortuna, fammi piegare, e non piombarmi addosso per perdita ulteriore. Ah, quando il mio cuore sarà scampato a questo dolore, non sopraggiungere nella retroguardia d'una già vinta pena; non far seguire a una notte di vento un mattino di pioggia per procrastinare una disfatta già decisa. Se vuoi lasciarmi, non lasciarmi da ultimo, quando altri piccoli affanni mi avranno fatto danno, ma vieni al primo assalto; così assaggerò fin dall'inizio tutto il peggio che può la Fortuna, e altre specie di dolore, che ora sembrano dolore, paragonate alla tua perdita, più non sembreranno tali. 91 Chi si gloria della nascita, chi dell’ingegno, chi della ricchezza, chi della forza del corpo, chi delle vesti, pur se di brutta moda recente, chi di falchi e levrieri, chi di cavalli; e ogni temperamento ha il suo piacere corrispondente in cui trova una gioia superiore a ogni altra. Ma questi particolari non sono a mia misura; tutti questi io li miglioro in un generale meglio. Il tuo amore è per me migliore di notabili natali, più ricco che ricchezza, più superbo che sfarzose vesti, di maggior diletto che cavalli o falchi; e, avendo te, io mi vanto della pompa di tutti quanti: misero solo in questo, che tu puoi prenderti tutto quanto via, e rendermi miserrimo. 92 Ma fa’ pure del tuo peggio per sottrarti a me, per tutta la durata della vita tu sei impegnato mio, e la vita non durerà più a lungo del tuo amore poiché da quell’amore essa dipende. Non ho quindi da temere il peggiore dei torti, se nel più piccolo di essi la mia vita avrà fine. Vedo che mi trovo in migliore stato di quello che dipende dal tuo umore. Non puoi angustiarmi con la tua mente incostante, poiché la mia vita dipende da dove ti rivolgi. Oh, quale titolo di felicità io trovo: felice di avere il tuo amore, felice di morire! Ma cosa è tanto felice e bello da non temere macchia? Tu puoi essere falso, e tuttavia io posso non saperlo. 93 Così dovrò vivere supponendoti fedele, come un marito tradito, cosicché il volto dell’amore possa ancora sembrarmi amore, pur se appena trasformato: con me i tuoi sguardi, il tuo cuore altrove. Poiché l’odio non può vivere nei tuoi occhi, io da quelli non posso sapere se tu cambi. Nell’aspetto di molti la storia falsa del cuore è scritta in cattivi umori e cipigli e strane rughe; ma, nel creare te, il cielo decretò che sul tuo volto il dolce amore dimorasse sempre, quali che fossero i tuoi pensieri o i moti del tuo cuore, e il tuo aspetto non dicesse altro che dolcezza. Quanto simile alla mela di Eva diventa la tua bellezza se la tua dolce virtù non corrisponde all’apparenza. 94 Quelli che hanno il potere di ferire e non lo fanno, che non fanno la cosa che più traspare in loro, che, muovendo gli altri, sono in se stessi come pietra, impassibili, freddi, e a tentazione lenti, giustamente essi ereditano le grazie del cielo e le ricchezze di natura guardano da spreco; essi sono i signori e i padroni dei loro volti, gli altri solo i maggiordomi della loro eccellenza. Il fiore dell’estate è all’estate dolce, anche se per sé soltanto vive e muore; ma se quel fiore è colto da vile infezione, l’erba più vile lo sovrasta in dignità; poiché le cose più dolci coi loro atti diventano le più agre: gigli che marciscono puzzano assai peggio delle erbacce. 95 Quanto dolce e amabile sai render la vergogna, che, come un bruco nella fragrante rosa, intacca la bellezza del tuo nome in boccio! Oh, in quali dolcezze racchiudi i tuoi peccati! La lingua che racconti la storia dei tuoi giorni con lascivi commenti dei tuoi svaghi, non può recarti spregio, ma, in qualche modo è pregio, se, nominando il tuo nome, benedice la maldicenza. Oh, quale dimora possiedono quei vizi che per loro abitazione scelsero te, dove il velo di bellezza copre ogni macchia e fa bella ogni cosa che gli occhi possono vedere! Sta’ attento, dolce cuore, a questo grande privilegio: il coltello più affilato, usato male, perde il suo taglio. 96 C’è chi dice che la tua colpa è la giovinezza, chi la licenza, c’è chi dice che la tua grazia è la giovinezza e il gentile svago; sia grazia che colpe son gradite da umili e da grandi; tu volgi in grazie le colpe che ti frequentano. Come sul dito di una regina in trono Il gioiello più vile sarà stimato bello, così quegli errori che si vedono in te sono trasformati in verità e ritenuti giusti. Quanti agnelli ingannerebbe il feroce lupo Se in agnello potesse volgere il suo aspetto! Quanti ammiratori potresti fuorviare Se volessi usare tutta la forza del tuo rango! Ma non farlo: io ti amo in tal modo che, essendo tu mio, mio è il tuo buon nome. 97 Quanto simile a un inverno è stata la mia assenza da te, il piacere dell’anno fuggitivo! Che geli ho sentito, che oscuri giorni ho visto! Quale di vecchio Dicembre nudità dovunque! Eppure questo tempo distante era un tempo d’estate, quando il fecondo autunno pregno di ricca prole partoriva il fardello lascivo della primavera, come vedovi ventri dopo la morte dei loro signori. Tuttavia, questa abbondante progenie a me sembrava solo speranza di orfani e frutto senza padre, poiché l’estate e i suoi piaceri a te fanno scorta, e, te lontano, gli stessi uccelli se ne stanno muti, o se cantano, è con così tetro umore che impallidiscono le foglie, temendo l’inverno vicino. 98 Sono stato assente da te in primavera, quando il superbo Aprile variopinto, tutto vestito a festa, ha appena messo giovinezza in ogni cosa, cosicché il greve Saturno rideva e saltava con lui. Ma né i canti degli uccelli, né il dolce odore dei differenti fiori nel profumo e nel colore, seppero indurmi a un canto d’estate o a cogliere quei fiori dal loro grembo rigoglioso; né restai ammirato dal bianco del giglio, né apprezzai il profondo vermiglio nella rosa: erano solo dolcezze, solo figure di delizia, ritratte a tua immagine, modello tu di tutte. Tuttavia a me sembrava inverno ancora, e, te lontano, come con la tua ombra io giocai con loro. 99 La precoce viola io così rimproverai: dolce ladra, di dove hai rubato la tua dolcezza che profuma se non dal fiato del mio amore? Il purpureo splendore, che dimora sulla tua morbida gota e la colora, nelle vene del mio amore troppo vistosamente hai intinto. Il giglio io condannai per aver copiato la tua mano; e i bocci della maggiorana avevano rubato i tuoi capelli; le rose, timorose, se ne stavano sulle spine, una, avvampante vergogna, un’altra, bianca disperazione; una terza, né rossa né bianca, aveva derubato entrambe e alla sua rapina aveva aggiunto il tuo respiro, ma per quel furto, nella piena sua crescita superba, un vendicativo bruco se la mangiò e l’uccise. Altri fiori osservai, eppure non potei vederne alcuno che la dolcezza o il colore non avesse a te rubato. 100 Dove sei, o Musa, che da tanto dimentichi di parlare di ciò che ti dà tutta la tua potenza? Sprechi il tuo furore in qualche indegno canto, oscurando il tuo potere per dar luce a soggetti vili? Ritorna, smemorata Musa, e subito redimi con metri gentili il tempo così vanamente speso; canta a quell’orecchio che i tuoi lai apprezza e dà alla tua penna maestrìa e argomento. Lèvati, indolente Musa, e il dolce volto del mio amore scruta, se il Tempo qualche ruga vi abbia inciso; se anche una sola, fa una satira del decadimento e i saccheggi del Tempo rendi dovunque abietti. Dà fama al mio amore più in fretta del Tempo che ne guasta la vita: così tu previeni la sua falce, la sua ricurva lama. 101 O oziosa Musa, quale sarà la tua ammenda per aver dimenticato la verità nella bellezza intinta? Sia verità che bellezza dipendono dal mio amore; e lo stesso è per te, e in ciò sei fatta degna. Rispondi, Musa, non vorrai per caso dire: “La verità non ha bisogno di colori, fissata com’è nel suo, né la bellezza di pennello, che la verità ne pitturi; ma il meglio è il meglio, se non mischiato ad altro?” Poiché lui non ha bisogno di lode, sarai tu muta? Non scusare così il tuo silenzio, poiché da te dipende se lui sopravvivrà a una dorata tomba e sarà lodato da età ancora da venire. Fà dunque il tuo ufficio, Musa; io ti insegno come farlo sembrare tra molto come ora appare. 102 Più forte è il mio amore, anche se più debole sembra; non meno io amo, anche se meno lo dimostro. È venale quell’amore il cui ricco valore è dovunque divulgato da colui che lo possiede. Giovane era il nostro amore, appena in primavera, quando usavo salutarlo con i miei lai come canta Filomela sulla soglia dell’estate e poi il suo flauto arresta al maturar dei giorni. Non che l’estate sia meno amabile adesso di quando i suoi mesti inni azzittivano la notte, senonché una musica chiassosa grava su ogni ramo, e le dolcezze, fatte comuni, perdono delizia. Perciò, come lei, io talvolta trattengo la lingua, perché non vorrei tediarti con il mio canto. 103 Ahimé, quale miseria produce la mia Musa, ché,pur avendo tale campo per mostrare il suo splendore, il suo argomento, tutto nudo, è di maggior valore che quando gli si aggiunga il mio apprezzamento. Oh, non biasimarmi se di più non posso scrivere! Guarda nel tuo specchio, e lì appare un volto che supera di molto la mia stanca invenzione, offuscando i miei versi e recandomi discredito. Non sarebbe un peccato, allora, volendo migliorarlo, sciupare il soggetto che prima andava bene? Perché a non altro scopo mirano i miei versi che a raccontare le tue grazie e le tue doti; e più, molto più che possa stare nel mio verso, te lo mostra il tuo specchio, quando ci guardi dentro. 104 Per me, dolce amico, tu non potrai mai essere vecchio, poiché com'eri quando dapprima il tuo occhio io vidi, tale sembra la tua bellezza ancora. Tre freddi inverni hanno dalle foreste scosso il vanto di tre estati, tre belle primavere cambiate in gialli autunni nel volgere delle stagioni ho visto, tre profumi d'aprile bruciati in tre ardenti giugni, dacché fresco dapprima ti vidi, che tuttavia sei verde. Ah, la bellezza tuttavia, come l'indice di una meridiana trafuga dalla sua figura, e nessun passo è percepito; così la tua dolce forma, che a me sembra immobile stare, ha movimento, e il mio occhio può essere ingannato. Per il qual timore, ascolta questo, tu epoca non nata: prima che tu nascessi, era morta l'estate della bellezza. 105 Non sia chiamato il mio amore idolatria, né come un idolo appaia il mio amato, se tutti uguali sono i miei canti e le mie lodi, per uno, di uno, ancor gli stessi, e sempre tali. Gentile è il mio amore oggi, domani gentile, sempre costante in meravigliosa eccellenza; perciò la mia poesia, confinata alla costanza, esprimendo una cosa sola, ogni varietà tralascia. "Bello, gentile e vero" è tutto il mio argomento, "Bello, gentile e vero", variato in altre parole, e in questi cambiamenti si spende la mia invenzione - tre temi in uno, e ciò offre una straordinaria prospettiva. Bello, gentile e vero spesso vissero separati, tre che finora mai risiedettero in uno soltanto. 106 Quando nelle cronache del tempo consumato vedo descrizioni delle più belle persone, e la bellezza far belle le antiche rime in lode di morte dame e leggiadri cavalieri; allora, nella celebrazione della più alta dolce bellezza, di mano, piede, labbro, occhio, fronte, vedo che la loro antica penna ambiva a esprimere proprio quella bellezza di cui ora tu sei signore. Così tutte le loro lodi non sono che profezie di questo nostro tempo, tutte prefigurando te, e poiché essi non vedevano che con occhi divinanti non conoscevano abbastanza per cantare il tuo valore; quanto a noi, che ora contempliamo questi presenti giorni, abbiamo occhi per ammirare, ma non lingue per lodare. 107 Nè le mie intime paure, né l'anima profetica del vasto mondo sognante cose a venire, possono più limitare la durata del mio devoto amore che pensai soggetto a un destino circoscritto. La luna mortale ha superato la sua eclissi e i tristi àuguri deridono i loro stessi presagi; ora le incertezze si coronano di certezze e la pace proclama ulivi di età sconfinata. Ora, nel gocciare di questo balsamico tempo il mio amore appare fresco, e la Morte a me si inchina, poiché, a suo dispetto, io vivrò in queste povere rime, mentre essa trionfa su ottuse tribù senza parola. E tu in questa poesia troverai il tuo monumento, quando stemmi di tiranni e tombe di bronzo saranno consumati. 108 Cosa c'è nel cervello, che l'inchiostro possa vergare, che non ti abbia già raffigurato il mio spirito fedele? Cosa c'è di nuovo da dire, cosa ancora da registrare, che possa esprimere il mio amore, o il tuo merito prezioso? Niente, dolce ragazzo, eppure come divine preghiere io devo ogni giorno ridire sempre lo stesso, non contando vecchia nessuna cosa vecchia, tu mio, io tuo, come quando dapprima santificai il tuo bel nome. Cosicché l'eterno amore, in nuove fogge d'amore, non si cura della polvere e dell'offesa del tempo, né concede spazio alle inesorabili rughe, ma fa la vecchiaia per sempre sua serva, trovando il primo concetto d'amore lì generato dove il tempo e la forma esteriore vorrebbero mostrarlo morto. 109 Oh, non dire mai che fui falso nel cuore, anche se l’essenza sembrò smorzare la mia fiamma; più facilmente da me stesso potrei separarmi che non dall’anima mia che risiede nel tuo petto: quello è la mia casa d’amore; se me ne sono allontanato, come un viaggiatore di nuovo vi ritorno, giusto a tempo, dal tempo non cambiato, e così io stesso porto acqua alla mia macchia. Non credere mai che la mia natura, pur se vi regnasse ogni debolezza che ogni indole assedia, potrebbe macchiarsi così snaturatamente da lasciare, per nulla, l’intera somma del tuo bene; poiché nulla io chiamo questo vasto universo, a parte te, mia rosa: in esso, tu sei il mio tutto. 110 Ahimè, è vero, io sono andato di qua e di là, mostrandomi a tutti come un buffone, ho rappezzato i miei pensieri, svenduto ciò che è più caro e a nuovi affetti ho arrecato vecchie offese. Verissimo è che ho guardato di traverso la vera fedeltà e da straniera. Ma, per il cielo, quelle sbirciate hanno dato al mio cuore nuova giovinezza, e peggiori esperienze ti hanno provato il mio migliore amore. Tutto finito adesso, abbiti ciò che non avrà fine: mai più affilerò il mio appetito con nuove prove per saggiare un vecchio amico, un dio in amore, al quale sono confinato. Dammi dunque accoglienza, dopo il cielo per me la migliore, dentro al tuo puro e più e più amoroso petto. 111 Oh, per amor mio, sgrida tu la Fortuna, la dea colpevole delle mie cattive azioni, che di meglio non provvide alla mia vita se non volgari mezzi che generano volgari maniere. Di lì deriva che il mio nome reca un marchio e la mia natura è quasi assoggettata a ciò in cui lavora, come la mano del tintore. Compatiscimi, dunque, e voglimi rinnovato mentre da docile paziente io berrò pozioni d’aceto contro la mia grave infezione; non ci sarà amarezza che riterrò amara né doppia penitenza per correggermi due volte. Compatiscimi, dunque, caro amico, e ti assicuro che la sola tua pietà basta a guarirmi. 112 Il tuo amore e la tua pietà ricolmano quel marchio che la volgare calunnia stampò sulla mia fronte, perché che m’importa chi di me dice bene o male se tu impioti il mio male e riconosci il mio bene? Tu sei tutto il mio mondo, e io devo sforzarmi di saper dalla tua lingua le mie vergogne e i miei pregi; nessun altro esiste per me (né io per nessun altro vivo) che possa cambiare la mia indurita coscienza al dritto o al torto. In così profondo abisso io getto ogni cura delle altrui voci che, come l’aspide, il mio udito si tura a chi mi critica e a chi mi lusinga. Nota come giustifico la mia noncuranza: così fortemente ti sei radicato nel mio intendimento che tutto il resto del mondo a me pare morto. 113 Da quando ti lasciai, il mio occhio è nella mia mente, e quell’occhio che mi guida nell’andare funziona solo in parte e in parte è cieco, sembra che veda, ma di fatto è spento, poiché nessuna forma trasmette al cuore, di uccello, fiore, o figura che afferri. Dei suoi vividi oggetti non partecipa la mente, né la sua visione trattiene ciò che coglie poiché, che veda la più rozza o più gentile vista, la più ben fatta creatura o la più deforme, la montagna o il mare, il giorno o la notte, il corvo o la colomba, esso li modella sul tuo aspetto. Incapace di contenere altro, di te ricolma, la mia mente tanto sincera fa così il mio occhio falso. 114 O forse la mia mente, di te incoronata, tracanna la piaga dei monarchi, questa lusinga? Oppure dovrò dire che il mio occhio dice il vero e il tuo amore gli insegnò tale alchimia da trasformare mostri e cose informi in cherubini che al tuo dolce te somiglino, creando da ogni brutta cosa un perfetto meglio non appena ai suoi raggi si aggregano gli oggetti? Oh, è il primo caso, c’è lusinga nel mio sguardo e la mia grande mente la tracanna come un re: il mio occhio ben sa quel che le è gradito al gusto e prepara la coppa che si addice al suo palato. Se è avvelenata,minore sarà il peccato che il mio occhio l’ami e la assaggi per primo. 115 Mentono quei versi che finora ho scritto, proprio quelli in cui dicevo di non poterti amare meglio; ma allora il mio giudizio non conosceva una ragione per cui la pienissima mia fiamma dovesse poi bruciar più chiara. Ma tenendo in conto il Tempo, i cui infiniti accidenti rompono i giuramenti e cambiano i decreti del re, sconciano la sacra bellezza, spuntano i più affilati intenti, dirottano menti salde nel corso delle mutevoli cose, - ahimè, perché, temendo la tirannia del Tempo, non potevo dire allora “Ora è massimo il mio amore”, quando ne ero certo al di là dell’incertezza, incoronando il presente, e del resto dubitando? L’amore è un bambino: allora non potevo dirlo poiché attribuivo cresciuta piena a quel che tuttora cresce. 116 Non sarà che al matrimonio di animi costanti io ponga impedimenti: non è amore quell’amore che muta quando scopre mutamenti o tende a ritirarsi se l’altro si ritira. Oh no, è un faro per sempre fisso che guarda alle tempeste e mai ne è scosso; è la stella polare per ogni nave errante, ignota nel valore, anche se l’altezza ne sia presa. L’amore non è lo zimbello del Tempo, anche se rosee labbra e guance cadono nel compasso della sua falce ricurva; l’amore non muta con le sue brevi ore e settimane, ma resiste fino all’orlo del Giudizio. Se questo è errore e mi sia privato, io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato. 117 Accusami così: che ho lesinato nel ripagare, come dovevo, i tuoi grandi meriti, e dimenticato di invocare il carissimo tuo amore, a cui ogni obbligo mi lega, giorno dopo giorno; che ho frequentato menti sconosciute e sperperato il tuo diritto pagato a caro prezzo; e che ho alzato le vele a tutti i venti che mi portassero dalla tua vista quanto più lontano. Registra la mia sregolatezza e i miei errori e a giuste prove aggiungi congetture; esponimi alla mira del tuo cipiglio, ma non sparare su di me nel tuo odio risvegliato, poiché la mia difesa afferma che cercavo solo di provare la costanza e il vigore del tuo amore. 118 Come per aguzzare l’appetito con piccanti intrugli stuzzichiamo il palato; come per prevenire invisibili malanni ci ammaliamo di purghe per evitare malattie, così, ricolmo della tua mai stucchevole dolcezza, ad agre salse volsi il mio nutrimento, e, sofferente di benessere, mi sembrò opportuno ammalarmi prima che fosse inevitabile. Così un’astuzia d’amore, per anticipare mali inesistenti, creò colpe certe e affidò alla medicina uno stato di salute, che, gonfio di bene, volle curarsi col male. Ma da questo imparo, e trovo vera la lezione, che le droghe avvelenano che così si ammalò di te. 119 Che pozioni ho bevuto di lacrime di sirene, distillate da alambicchi sporchi dentro come l’inferno, somministrando paure alle speranze e speranze alle paure, sempre perdendo quando mi vedevo vincere! Che sciagurati errori ha commesso il mio cuore, quando si è ritenuto come non mai felice! Come sono schizzati i miei occhi dalle loro sfere nello svolgimento di quella folle febbre! Oh, beneficio del male! Ora io trovo vero che il meglio è reso dal male ancora meglio, e l’amore rovinato, quando è nuovamente costruito, cresce più bello di prima, più forte assai più grande. Così io ritorno avvilito a quel che mi contenta, e guadagno dal male tre volte quando ho speso. 120 Che una volta tu fosti infedele ora mi aiuta, e, per quel dolore che io provai allora, devo piegarmi per forza sotto la mia trasgressione, se i miei nervi non sono di bronzo o di temprato acciaio. Perché se dalla mia infedeltà sei stato sconvolto come io dalla tua, hai passato un tempo infernale, e io, tiranno, non ho trovato il tempo di pesare quanto una volta soffrii per il tuo torto. Oh, se quella nostra notte di dolore avesse rammentato ai miei profondi sensi come colpisce duro la vera pena e ti avessi subito offerto, come tu a me allora, l’umile balsamo che lenisce i petti feriti! Ma quella tua colpa ora si fa compenso: la mia riscatta la tua, e la tua deve riscattare me. 127 Ai tempi antichi il nero non era ritenuto bello, o, se lo era, non portava il nome di bellezza; ma ora è il nero il vero erede della bellezza, e la bellezza è diffamata col marchio di bastarda: dacché ogni mano s’è arrogato il potere di Natura, abbellendo il brutto con false facce fatte ad arte, la dolce bellezza non ha nome né sacro recesso, ma è profanata, se non vive in disgrazia. Perciò gli occhi della mia donna sono neri come il corvo, occhi così abbigliati da sembrar prefiche in lamento per quelle che, non nate belle, non mancano di bellezza, diffamando con falso pregio la Natura creatrice. Tuttavia, si lamentano con tale grazia nel dolore che ogni lingua dice che la bellezza così dovrebbe apparire. 128 Quanto spesso, quando tu, mia musica, musica esegui sui quei beati legnetti il cui moto risuona sotto le tue dolci dita, mentre gentile governi l’armonia delle corde che il mio orecchio incanta, io davvero invidio quei salterelli che agili balzano a baciarti il tenero incavo della mano, mentre le povere mie labbra, cui spetterebbe tale raccolto, all’ardire dei legnetti arrossiscono al tuo fianco. Per venir così vellicate, scambierebbero stato e posto con quelle danzanti schegge su cui vanno le tue dita con gentile passo, rendendo i morti legni più beati delle vive labbra. Poiché quegli sfacciati salterelli hanno tale fortuna, dà loro le tue dita, e a me le tue labbra da baciare. 129 Spreco di spirito in un deserto di vergogna è la lussuria in atto, e finché è in atto, la lussuria è spergiura, assassina, di sangue ricolma e di colpa, selvaggia, estrema, brutale, crudele, infida; non appena goduta, subito disprezzata; dissennatamente odiata come inghiottita esca a bella posta tesa a render chi la preda folle; folle nella caccia come nel possesso; avuta, avendo e in cerca di avere, estrema; una delizia alla prova, e, provata, una gran pena; prima, una gioia ripromessa; dopo, un sogno. Tutto questo il mondo ben lo sa, ma nessuno sa bene come evitare il paradiso che gli uomini porta a questo [inferno. 130 Gli occhi della mia donna non sono affatto come il sole; il corallo è assai più rosso delle sue rosse labbra; se la neve è bianca, be’ allora i suoi seni sono grigiastri; se i capelli sono crini, neri crini le crescono sul capo. Ho visto rose damascate, rosse e bianche, ma simili rose non le vedo sulle guance; e in certi profumi c’è maggior delizia che non nel fiato che la mia donna esala. Amo sentirla parlare, eppure so bene Che la musica ha un suono molto più gradito. Non ho mai visto, ammetto, incedere una dea, ma la mia donna camminando calca la terra. Eppure, per il cielo, credo la mia amata tanto rara quanto qualsiasi donna travisata da falsi paragoni. 131 Tu sei tiranna, pur fatta come sei, al pari di quelle che la bellezza superba rende crudeli; poiché ben sai che per il mio caro cuore appassionato tu sei il gioiello più caro e più prezioso. Eppure a guardarti c’è chi dice in buonafede che la tua faccianon può far sospirar d’amore; a dire che sbagliano non arriva il mio ardire, anche se tra me e me io lo giuro. E a farmi certo che non giuro il falso, mille sospiri, al solo pensiero del tuo volto, fanno ressa, l’uno dopo l’altro, per testimoniare che il tuo nero è chiarissimo secondo il mio giudizio. In niente tu sei nera, se non nelle tue azioni, e di lì quella calunnia io credo che derivi. 132 I tuoi occhi io amo, ed essi, come a compatirmi, sapendo che il tuo cuore mi tormenta col disdegno, si vestono di nero e in amoroso lutto guardano con graziosa pietà alla mia pena. E veramente né il sole celeste del mattino meglio si addice alle grigie guance dell’oriente, né quella colma stella che annuncia la sera reca più splendore al cupo occidente, di quanto si addicano al tuo volto i tuoi luttuosi occhi mattutini. Oh, lascia dunque che ugualmente al tuo cuore si confaccia Di portare il lutto per me, perché il lutto ti dà grazia, e rivesti ugualmente di pietà ogni tua parte. Allora giurerò che la bellezza stessa è nera, e brutte tutte quelle che non hanno il tuo colore. 133 Maledetto sia quel cuore che il mio fa lamentare per la profonda ferita che al mio amico e a me infligge! Non ti basta torturare me soltanto, ma schiavo della stessa schiavitù dev’essere il dolcissimo mio amico? Me a me stesso il tuo crudele occhio ha tolto, e l’altro me stesso più duramente hai catturato; da lui, da me, e da te io sono abbandonato: tre volte triplice è il tormento di tale frustrazione. Imprigiona il mio cuore nella cella del tuo ferrigno petto, ma poi al mio povero cuore lascia riscattare il cuore del mio amico; chiunque mi detenga, sia il mio cuore a custodire il suo: allora non potrai usar rigore nella mia prigione. Eppure lo farai, poiché, essendo io in te rinchiuso, sono per forza tuo, e tuo è tutto ciò che è in me. 134 Così, ora che ho confessato che lui è tuo, e che io stesso sono ipotecato alle tue voglie, darò me stesso in pegno, purché quell’altro mio tu mi restituisca per mio conforto ancora. Ma tu non vuoi, né vuole lui essere affrancato, poiché avida tu sei ed è cortese lui. Lui doveva solo firmare per me come garante quel contratto che lui stesso non meno stretto lega. Tu esigi la penale stipulata sulla tua bellezza, usuraia che concedi tutto a interesse, e persegui un amico venuto a indebitarsi per mio conto; così io perdo lui per l’indebito uso che ne ho fatto. Lui ho perduto, e tu hai lui e me; lui ti paga fin in fondo, ma ciò non affranca me. 135 Se ogni donna ha ciò che vuole, tu hai il tuo Will, e un Will in aggiunta, e un Will in sovrappiù; sono di troppo io, che sempre t’importuno aggiungendomi così alla tua dolce voglia. Non vorrai tu, la cui voglia è larga e spaziosa, concedermi una volta di celare la mia voglia nella tua? Dovrà l’altrui voglia apparire tutta grazia e per la mia voglia non splenderà gentile accettazione? Il mare, tutto acqua, riceve pur sempre la pioggia e in abbondanza accresce le sue scorte; così, tu che di Will sei ricca, aggiungi al tuo Will una mia voglia per fare ancor più larga la tua voglia. Il tuo crudele no non uccida gentili pretendenti: pensali tutti quanti uno, e me unico Will in tutta quella voglia. 136 Se la tua anima ti frena perché così ti incalzo, giura alla tua anima cieca che ero io, il tuo Will, e la voglia, lo sa l’anima tua, lì dentro è ammessa; fin in fondo, per amor mio, dolcemente soddisfa l’amorosa mia richiesta. Will soddisferà il forziere del tuo amore, sì, lo colmerà di voglie, e la mia voglia in quelle. In cose di grandi entrate agevolmente riscontriamo che nel gran numero uno è contato nessuno. In quel numero dunque lasciami passare inosservato, anche se nel conto delle tue scorte sarò per forza uno; ritienimi come un nulla, purché ti piaccia contenere quel nulla, me, come un qualcosa di dolce per te. Fa’ del mio nome il tuo amore, e amalo sempre, e allora ami me, perché il mio nome è Will, la voglia. 137 Tu cieco folle amore, che cosa fai ai miei occhi, che guardano e non vedono ciò che vedono? Sanno cos’è la bellezza, vedono dove si trova, eppure scambiano il peggio per il meglio. Se, corrotti da troppo parziali sguardi, gli occhi han gettato l’ancora nella baia dove tutti stanno alla fonda, perché dalla loro falsa vista hai forgiato uncini cui ha attraccato il giudizio del mio cuore? Perché dovrebbe il mio cuore pensar pascolo privato quel campo che sa terreno aperto al mondo intero? O forse i miei occhi, pur vedendolo, dicono che non è così per truccare con bella onestà un volto così impuro? In cose davvero oneste cuore e occhi hanno sbagliato, e su questa falsa piaga si sono ora trasferiti. 138 Quando il mio amore giura d’esser fatta d’onestà, io le credo, anche se so che mente, affinché possa pensarmi un giovane inesperto, ignaro delle false sottigliezze del mondo. Così, con vanità pensando che giovane mi pensi, sebbene lei sappia che son passati i miei giorni migliori, ingenuamente presto fede alla sua lingua bugiarda; e così da tutte e due le parti la semplice verità è cancellata. Ma perché lei non dice di esser disonesta? E perché io non dico d’essere vecchio? Oh, il miglior costume dell’amore è l’apparente fiducia, e la vecchiaia innamorata non ama che le sian contati gli anni. Perciò io mento giacendo con lei, e lei con me, e, nelle nostre colpe, siamo lusingati da menzogne. 139 Oh non chiamare me a giustificare il torto che la tua crudeltà infligge al mio cuore; non ferirmi con gli occhi, ma con la lingua; usa la forza con la forza e non uccidermi con trucchi; dimmi che il tuo amore va altrove, ma in mia presenza astieniti, cuor mio, dal lanciare occhiate attorno. Hai bisogno di ferirmi con l’inganno, quando hai più potenza di quanto possa sopportare la pressata mia difesa? Così ti scuserò:”Ah, ben sa il mio amore Che i suoi graziosi sguardi mi furono nemici E perciò li distoglie dal mio volto, affinché dardeggino altrove i loro colpi”. Non farlo, tuttavia: poiché mi hai quasi ucciso, finiscimi con gli sguardi e toglimi la pena. 140 Sii saggia quanto sei crudele, non pressarmi Nella mia pazienza muta con eccessivo sdegno, affinché il dolore non mi dia parole, e non esprimano le parole di cosa è fatta la mia non compatita pena. Se posso insegnarti la saggezza, meglio sarebbe, anche se non m’ami, amore, dirmi che m’ami, come a malati intrattabili, quando la morte s’avvicina, i medici non danno che notizie di salute. Se infatti dovessi disperare diventerei pazzo, e nella mia pazzia potrei di te parlar male, e questo maligno mondo è diventato così cattivo che pazzi calunniatori da pazzi orecchi vengono creduti. Perché io non lo sia, e tu non venga diffamata, tieni dritti i tuoi occhi, anche se il tuo vano cuore si svia. 141 In fede, io non ti amo con i miei occhi Poiché essi notano in te mille difetti; ma è il mio cuore ad amare ciò che essi disprezzano e, a dispetto della vista, si compiace di adorarti. Né si deliziano i miei orecchi al tono della tua voce, né il tenero mio tatto è incline a bassi tocchi, né il gusto né l’olfatto ambiscono all’invito a un banchetto dei sensi con te sola; ma né le mie cinque facoltà né i miei cinque sensi possono dissuadere dal servirti uno sciocco cuore, che lascia ingovernata la mia sembianza d’uomo per farmi schiavo e misero vassallo del tuo superbo cuore. Senonché la mia piaga in tanto conto come mio guadagno In quanto colei che mi fa peccare m’impartisce la mia pena. 142 L’amore è il mio peccato, e la tua prediletta virtù l’odio, odio del mio peccato, fondato su un peccaminoso amare. Oh, ma conforta con il mio il tuo stesso stato E scoprirai che il mio non merita riprovazione, o, se la merita, non da quelle tue labbra che hanno profanato il loro scarlatto ornato, e, non meno delle mie, hanno suggellato falsi patti d’amore e derubato letti altrui delle rendite dovute. Sia lecito per me amare te come tu ami quelli che i tuoi occhi corteggiano come i miei importunano te. Radica pietà nel tuo cuore, cosicché crescendo essa si possa meritare di ottener pietà. Se cerchi di averla mentre la tua te la tieni per te, per il tuo stesso esempio, potrebbe esserti negata. 143 Come la solerte massaia corre ad acchiappare uno dei suoi amati pennuti che è scappato via, posa il suo bambino e s’affretta più che può a inseguire la creatura che vorrebbe fermare, mentre il suo trascurato figlio si mette alla sua caccia e strilla per raggiungerla, mentre lei è tutta presa a rincorrere quell’altro che le fugge sotto il naso, incurante dell’affanno del suo infante: così tu corri dietro a quello che ti sfugge, mentre io, il tuo bambino, ti inseguo da lontano; ma se acchiappi quel che speri, volgiti indietro a me e fa’ la parte della mamma:baciami, sii buona. Allora io pregherò che tu abbia il Will che vuoi, se ti volterai a calmare il mio sonoro pianto. 144 Due amori ho io, per conforto e per disperazione, che come due spiriti mi tentano sempre: l’angelo migliore è un uomo bello e biondo, lo spirito peggiore una donna di mala tinta. Per conquistarmi subito all’inferno, il mio male femmina tenta via dal mio fianco il mio angelo migliore, e vorrebbe corrompere il mio santo in un demonio adescandone la purezza con la sua sozza lussuria. E che il mio angelo in diavolo si sia mutato, lo posso sospettare, non però dirlo con certezza; ma, da me lontani entrambi, e tra di loro amici, l’angelo indovino nell’inferno di quell’altra. Questo, però, non lo saprò mai, e vivrò nel dubbio finchè il mio angelo cattivo il buono non cacci via marchiato. 145 Quelle labbra che la mano stessa d’Amore fece emanarono un suono che diceva “ Io odio”, a me che per amor suo languivo; ma quando lei vide il mio penoso stato, subito mercè scese nel suo cuore biasimando quella lingua, che, sempre dolce, soleva esprimere giudizi gentili, e così le insegnò a interpellarmi nuovamente: “Io odio” lo cambiò con un finale che gli seguì come il giorno gentile segue alla notte che, simile a un demonio, vola via dal cielo nell’inferno. “Io odio” lo affrancò dall’odio, e salvò la mia vita dicendo “ non te”. 146 Povera anima, centro della mia peccaminosa terra, [incalzata da] da queste forze ribelli che ti rivestono, perché dentro languisci e soffri carestia, dipingendo le tue mura esterne con così costoso sfarzo? Perché un così alto prezzo, avendo un affitto così breve, spendi per la tua dimora che si stinge? Dovranno i vermi, eredi di questo spreco, divorare la tua spesa? E’ questo il fine del tuo corpo? Sostèntati dunque, anima, delle privazioni del tuo servo e lascialo languire per aumentare le tue scorte; compra durate divine vendendo ore di scorie; dentro sii nutrita, fuori non più ricca. Così ti nutrirai della Morte, che si nutre degli uomini, e, una volta morta la Morte, non c’è più il morire. 147 Il mio amore è come una febbre, anelando sempre a ciò che più a lungo ne alimenta il morbo, nutrendosi di ciò che ne conserva il male, per compiacere il volubile malato appetito. La mia ragione, medico del mio amore, furiosa per le sue prescrizioni non seguìte, m’ha abbandonato, e ora disperato scopro che il desiderio è morte, e la medicina lo vietava. Incurabile io sono, ora che la ragione più non mi cura, e, pazzo delirante per la continua agitazione, i miei pensieri e i miei discorsi sono quelli dei folli, vanamente formulati alla rinfusa, fuori dal vero; poiché ti ho giurata bella e pensata luminosa, tu che sei nera come l’inferno e come la notte buia. 148 Ahimè, quali occhi mi ha messo in testa amore, che non han corrispondenza con la vera vista! O se l’hanno, dov’è fuggito il mio giudizio che deforma ciò che essi vedono esatto? Se è bello ciò per cui vaneggiano i miei falsi occhi, cosa intende il mondo dicendo che non è così? Se non lo è, l’amore allora ben dimostra che l’occhio dell’amore non è, come quello di tutti, veritiero. No, come può? Oh, come può l’occhio dell’amore esser [veritiero Quando è così turbato da lacrime e da veglie? Non meraviglia allora se sbaglio nel vedere: nemmeno il sole vede, finché il cielo non rischiara. Oh, astuto amore, con le lacrime tu mi tieni cieco, affinché, ben vedendo, gli occhi non scoprono i turpi tuoi [difetti. 149 Puoi dire tu, crudele, che io non ti amo, quando con te contro me stesso prendo parte? Non penso forse a te, quando mi dimentico di me, per amor tuo tiranno di me stesso? Chi ti odia lo chiamo forse amico? Chi riceve il tuo cipiglio ha da me lusinghe? Di più, se con me ti imbronci, non proferisco vendetta contro me stesso con pronti lamenti? Quale merito riconosco in me stesso tanto superbo da disdegnare i tuoi servigi, quando tutto il meglio di me venera i tuoi difetti, comandato dal moto dei tuoi occhi? Ma, amore, odiami pure, poiché ora capisco la tua mente: quelli che sanno vedere tu li ami, e io sono cieco. 150 Oh, da quale potenza ricevi questo tuo forte potere di dominare il mio cuore con la tua manchevolezza, di farmi dar di bugiarda alla mia vista veritiera e giurare che la chiara luce non aggrazia il giorno? Di dove trai questo tuo render belle cose brutte, cosicché perfino negli scarti dei tuoi atti c’è tale forza e prova di bravura che nella mia mente il tuo peggio supera ogni meglio? Chi ti insegnò a far si che tanto più io ti ami quanto più sento e vedo giusti motivi per odiarti? Oh, anche se io amo ciò che aborrono gli altri, tu non dovresti, con altri, aborrire la mia condizione. Se la tua indegnità risvegliò in me amore, tanto più degno io sono di essere amato da te. 151 È troppo giovane Amore per saper cosa sia coscienza, ma chi non sa che la coscienza nasce dall’amore? Perciò, gentile ingannatrice, non incalzarmi sul mio fallo, affinché colpevole delle mie colpe non si provi la tua persona. Infatti, se così mi irretisci, io finisco per irretire La mia più nobil parte al volgare tradimento del mio corpo. La mia anima ha un bel dire al mio corpo Che può trionfare in amore; la carne non aspetta altro, ma, ergendosi al tuo nome, punta a te come sua preda trionfale. Gonfia del suo sfoggio, si contenta di essere la povera tua schiava, di ficcarsi nelle tue faccende, e di cadere al tuo fianco. Non ritenere mancanza di coscienza che io chiami Amore colei per il cui caro amore mi ergo e cado. 152 Amando te, tu sai che io sono spergiuro, ma tu due volte sei spergiura, giurandomi amore: coi tuoi atti hai rotto il voto del tuo letto, e stracciato nuova fedeltà giurando nuovo odio dopo aver concesso nuovo amore. Ma perché accuso te di aver violato due giuramenti, quando io ne rompo venti? Sono io il più spergiuro, poiché tutti i miei voti sono giuramenti volti solo a travisarti e tutta la mia onesta fedeltà in te si perde. Perché ho giurato profondi giuramenti sul tuo profondo affetto, giuramenti sul tuo amore, la tua onestà, la tua costanza, e per illuminare te ho accecato i miei occhi o li ho fatti giurare contro la cosa che vedevano. Ti ho giurata infatti bella: tanto più spergiuro l’occhio, giurare contro il vero una cos’ turpe menzogna. 153 Posò Cupido la sua torcia e cadde nel sonno. Una ninfa di Diana colse il momento propizio e il suo fuoco che amore accende presto immerse in una fredda fonte di quella valle, che dal sacro fuoco d’Amore trasse un vivo eterno calore, per sempre duraturo, e divenne un bollente bagno, che scoprono gli uomini cura sovrana contro strane malattie. Ma riattizzata all’occhio della mia donna l’amorosa torcia, il fanciullo volle per prova toccare il mio petto; me ne ammalai e cercai l’aiuto di quel bagno e mi ci affrettai, triste ospite indisposto. Ma non trovai rimedio; il bagno che mi aiuti sta dove Cupido trasse nuovo fuoco: gli occhi della mia donna. 154 Il piccolo dio dell’Amore, giacendo una volta addormentato, posò al suo fianco la torcia che infiamma i cuori, mentre molte ninfe votate a vita casta, venivano a danzargli accanto; ma con vergine mano la più bella devota prese quel fuoco che molte legioni di cuori sinceri aveva riscaldato; e così il capo supremo dell’acceso desiderio fu disarmato nel sonno da una vergine mano. Quella torcia lei spense in una fredda polla vicina, che dal fuoco d’Amore trasse un calore perpetuo, divenendo un bagno termale e un rimedio salutare per uomini ammalati; ma io, schiavo della mia donna, vi andai per guarire, e questo posso testimoniare: il fuoco d’Amore riscalda l’acqua, l’acqua non raffredda l’amore.